Iniziamo proprio dal Rigoletto, titolo del Progetto 2019.
Come ti sei preparato?
Ho raggiunto il cast nel luglio del 2019, dunque il grosso del lavoro era già stato fatto. Mi sono preparato studiando molto da solo, con il sostegno dei maestri collaboratori della Scala- in particolare la maestra Benzi, e poi Toni Gradsack mi ha scelto. Inizialmente avrei dovuto cantare solo nel secondo cast, ma alla fine ho fatto tutte le recite. Inoltre, dopo le date di Milano siamo stati in Arabia con lo stesso titolo.
Per me è stato molto stressante, da un lato, ma anche il mio primo grande ruolo e penso di aver dato il meglio in scena.
Ero spaventato, in un primo momento: duettare con il grande Leo Nucci, che è il Rigoletto di Deflo da anni ormai…e poi alla Scala, dove Verdi è portato ad un livello altissimo. Tutto questo mi ha un po’ intimorito. Invece è stato un maestro generosissimo e paziente, mi ha concesso di prendermi il mio tempo e mi ha guidato con consigli preziosi che ogni giorno mi aiutano, anche ora, nel lavoro quotidiano. E lo stesso posso dire del direttore, Daniel Oren, grazie al quale sono entrato in scena, il giorno della Prima, pieno di fiducia in me stesso. Sono state le mie prime prove professionali, un’esperienza strepitosa. E devo dire che mi trovo molto a mio agio nella parte del cattivo della situazione, anche se questo carattere è lontano anni luce da me. Ma è molto divertente interpretare questo tipo di personaggi, e poi amo le opere ricche di pathos e di sangue.
Quale interpretazione di Sparafucile ti ha ispirato maggiormente?
Più di tutti quella di Cesare Siepi, il mio mito. Poi anche quella di Nicolaj Ghiaurov, un altro basso invidiabile.
Quando è iniziata questa passione?
Da piccolo, a 6 anni, quando ho iniziato a cantare come voce bianca. Mi sono avvicinato al canto lirico molti anni dopo – ne avevo già 17 – ed è stato subito amore. Due anni dopo ero al Conservatorio di Zagabria e al termine degli studi ho raggiunto l’Accademia della Wiener Staatsoper.
Non ho alle spalle una famiglia di musicisti, comunque, e nemmeno di artisti in senso più ampio. Sono l’unico ad aver intrapreso questa strada, seguendo solamente la mia passione…
Mi piace pensare che potrò avvicinare la mia famiglia a questo mondo.
Eri già stato in Scala, magari come spettatore?
La prima volta che sono entrato in questo teatro è stato in occasione della finale del concorso di ammissione all’Accademia.
Mi sono iscritto alle selezioni e dopo tre o quattro settimane ho ricevuto comunicazione di aver passato la preselezione e di essere invitato in Accademia per l’eliminatoria. Il primo impatto è stato quindi con la scuola, mentre solo l’ultima fase si è disputata in teatro. Le selezioni durano circa otto giorni e ora della finale ero abbastanza stressato. Ma quando sono entrato in palcoscenico non ho potuto fare altro, per almeno un minuto intero, che ammirare la sala pieno di meraviglia, in assoluto silenzio. A quel punto non mi interessava più nulla, ero contento solo di essere lì e poter cantare Verdi alla Scala. Era veramente la realizzazione di un sogno.
In molti ci hanno raccontato questa cosa, che in quel momento non interessa più il concorso ma solo essere lì…
Perché per tutti noi la Scala è la meta più ambita, ma soprattutto perché lì hanno cantato tutti i nostri miti e vi hanno lavorato grandi compositori come Verdi – il mio preferito. È naturale, vorremmo vincere ed essere ammessi, ma anche respinti possiamo dire “ho cantato sullo stesso palcoscenico calcato da tutti i più grandi”.
Qual è la lezione più importante che hai imparato durante questo biennio di perfezionamento?
L’Accademia Teatro alla Scala ha dei pianisti accompagnatori eccezionali, davvero ineguagliabili.
Vincent Scalera, Beatrice Benzi, Michele D’Elia – ma dovrei nominarveli davvero tutti perché sono dei professionisti incredibili e mi piace molto lavorare con loro. Non esci mai dalla lezione senza aver aggiunto un tassello alla tua formazione.
E poi imparo moltissimo anche vivendo qui in Italia, a Milano. È una lezione continua: il vostro stile di vita, la vostra lingua, il vostro cibo, la vostra cultura… tutto mi offre stimoli e spunti su come si deve cantare, fraseggiare e anche ascoltare e amare un’opera lirica.
Dove vorresti essere, nel prossimo futuro?
Calcare i palcoscenici del Covent Garden e del MET non mi dispiacerebbe. Dopo la Scala, sono i più ambiti nel mondo operistico.
Però, a dirla tutta, mi piacerebbe poi muovermi qui nell’Europa mediterranea. Preferirei cantare, se potessi proprio scegliere, tra Italia, Francia e Spagna.