Continuiamo a presentarvi i cantanti che l’8 novembre, alla Scala, otterranno il diploma al termine del perfezionamento per cantanti lirici.
Andrea, ne La Cenerentola per i bambini tu interpreti la protagonista. Ma quanto ti senti vicina al personaggio?
A volte mi sento molto vicina ad Angelina, la Cenerentola di Rossini; però io ho una personalità più esplosiva e molto meno remissiva. Non avrei mai avuto la sua pazienza nel sopportare tutto.
Com’è andata questa esperienza?
Avevo già debuttato la parte completa in Spagna. All’inizio di questa avventura per il progetto “Grandi opere per piccoli”, quindi, mi sono trovata un po’ scomoda con i tagli apportati alla partitura perché sia adatta ai piccoli. Alla fine, però, ho visto che è meraviglioso com’è stata concepita questa riduzione per i bambini; funziona davvero molto bene e loro sono un pubblico fantastico.
Ci sono tanti paesi dove non è possibile creare questa vicinanza ai giovani, non per impedimenti reali ma solo perché si crede che l’opera sia rivolta e destinata solamente a un certo tipo di pubblico – di solito non così giovane ma molto danaroso. È invece fondamentale educare il pubblico presto, così che sia pubblico a lungo.
Mi piacerebbe che anche nel mio paese ci fossero questi adattamenti.
Tu vieni dalla Colombia. Quanto è sentita, lì, la musica colta europea?
La Colombia ha ovviamente una forte tradizione musicale tropicale, mentre l’opera lirica – come genere da fruire – non è così diffusa. Tuttavia, il mio Paese vanta un numero elevato di cantanti lirici: solamente in Bogotá, che è la mia città, ce ne sono 500!
Cresce ogni anno il numero di persone interessate a questo genere e insieme cresce la competitività: sperano ovviamente tutti di fare carriera. Questo clima è molto fecondo, aumenta la voglia di musica classica e nascono idee per progetti di avvicinamento del pubblico. Le Università lavorano molto per produrre festival. Ce n’è uno molto importante che si chiama Ópera al Parque, durante il quale vengono allestite opere realizzate da conservatori e università. Partecipare a questo festival è molto importante, per noi cantanti lirici colombiani, perché è l’occasione per debuttare ruoli e accumulare esperienza. Per me, parteciparvi è determinante per arrivare al livello richiesto dall’Accademia scaligera.
Insomma, la Colombia è sulla strada giusta per aprirsi totalmente a questo genere, lo sento.
Ma tu come ti sei decisa per questa carriera?
Non sono mai stata un’amante di reggaeton o della salsa, i nostri generi più tipici; non ho un’anima tropicale, diciamo, ma sono invece un’appassionata rockera e in particolare amo il metal sinfonico. Adoro davvero quando l’heavy metal si fonde con la musica classica, una combinazione preziosa. Il mio gruppo preferito è quello dei Nightwish, che ascolto da molti anni; la prima volta che li ho sentiti sono rimasta incantata.
Studiavo già pianoforte e cantavo in coro diversi generi – musica latinoamericana, jazz e folk. Poi ho iniziato, quasi per gioco, a imitare la cantante e ho trovato e sperimentato una tecnica “comoda”, adatta alle mie corde vocali. Ascoltandola, provavo piacere nell’anima. Ma imitandola, il piacere è diventato anche fisico, cioè mi sentivo a mio agio, la mia voce stava bene e mi veniva tutto naturale. È così che mi sono avvicinata alla lirica.
Sono andata da un maestro colombiano che mi ha proposto le mie prime arie d’opera e mi ha aperto un mondo. Ho deciso così, anche consigliata da lui, di presentarmi al Conservatorio dell’Universidad Nacional de Colombia e da lì è iniziato tutto. Grazie agli studi di conservatorio ho vinto poi i concorsi più importanti del mio Paese e una borsa di studio per un master al Liceu, il mio trampolino per l’Europa. Poi, ancora, l’Opera Studio di Domingo a Valencia e alla fine la Scala. Non avrei mai pensato di arrivare fin qui!
La prima volta alla Scala è stata in occasione del nostro concorso. Che cosa hai provato?
Ovviamente sono arrivata nervosa, tesa. Le competizioni sono sempre stressanti e cantare alla Scala non capita tutti i giorni. Si sente un certo peso, doppio nel mio caso in quanto straniera.
Ma quando mi sono trovata lì, sul palcoscenico, davanti alla sala, ho voluto annullare tutto.
Mi sono detta che non era importante che ci fosse un concorso o che ci fosse la giuria, l’unica cosa di valore era trovarsi alla Scala e godersi il momento. Penso davvero di aver cantato come mai prima o dopo, di aver dato il meglio di me perché sono riuscita a cancellare dalla mia testa tutto il contesto. E poi è venuta fuori una sorta di istinto artistico dirompente. Sapevo che se non fosse andata bene mi sarei trovata in difficoltà anche col permesso di soggiorno e che magari avrei dovuto lasciare l’Italia e l’Europa, perdendo la possibilità di perfezionarmi nella culla della lirica. Non dico che fosse proprio l’unica occasione, ma di sicuro non ne avrei avute molte altre. Perciò ho dato il duecento per cento e dentro sentivo che dovevo “mangiarmi” la giuria.
E alla fine è stato un successo nazionale, non solo personale, perché sono in assoluto la prima cantante colombiana ad essere stata ammessa in questa che non è un’accademia qualsiasi, è un’istituzione leggendaria!
Consiglieresti la stessa cosa, cioè di estraniarsi, a chi vuole tentare questo concorso?
Direi innanzitutto di arrivare alle prove con il repertorio adatto alla propria voce ma anche alla propria età, e poi di controllare la Stagione della Scala. Spesso si partecipa al concorso senza pensare alla programmazione degli spettacoli e quindi a quello che si dovrà interpretare per due anni.
Ecco, direi questo e armarsi di tranquillità, per godersi davvero il momento.
Adesso che sei al termine del tuo percorso in Accademia, pensi che il biennio abbia rispecchiato bene le tue aspettative?
Sono sincera: un giudizio in relazione alle mie aspettative è difficile, perché questo biennio è stato “rovinato” dall’emergenza sanitaria. Il mio percorso qui è stato quindi molto diverso da quello di altri cantanti che conoscevo e che hanno frequentato questa scuola in precedenza. Io e i miei compagni siamo rimasti un anno senza produzioni, ci è mancata questa grossa fetta di esperienze. Mi sarebbe ovviamente piaciuto essere impegnata in teatro e avere il pubblico.
Ma posso dire con altrettanta sincerità che non è stato sprecato nemmeno un secondo del nostro tempo anche in queste circostanze avverse. Ho imparato molto, sono cresciuta in questi due anni e sono contenta di essere qui.
E poi la qualità della docenza è altissima, davvero di prima categoria! Siamo circondati da assoluti professionisti che ci aiutano a diventare migliori cantanti, migliori musicisti e migliori artisti, e hanno tutti un livello mai sperimentato prima in contesti accademici. Inoltre, non dimentichiamo il rovescio della medaglia, un lato positivo: la pandemia e il lockdown hanno fornito l’occasione per studiare con calma e quindi per mettere in repertorio più ruoli, proprio perché liberi dal ritmo incalzante di prove e recite.
E di dedicarsi anche all’italiano, la lingua della musica…
Sì! Qui studiamo italiano con una docente bravissima, Alessia Benenti, una delle mie preferite. Le lezioni sono importantissime, perché ci consentono davvero di imparare a parlare la lingua italiana, non sono solo esercizi quotidiani di grammatica. Capiamo così meglio i testi che dobbiamo cantare e, conoscendo meglio la pronuncia corretta, possiamo anche modificare il nostro modo di cantare e renderlo più adatto.
E poi, come dici tu, l’italiano è davvero la lingua della musica. In questo momento, per esempio, mi trovo in Germania per una Cenerentola in versione completa al Teatro di Bonn, con Leonardo Muscato, il regista che ha appena portato Il barbiere di Siviglia in Scala. Tutti gli artisti coinvolti comunicano in italiano. Mi raccontavano anche altri colleghi, impegnati in area tedesca, che la prima lingua utilizzata nelle prove è l’italiano. Per noi è veramente essenziale quindi impararlo.
Quale ruolo ti piacerebbe affrontare e su quale palcoscenico?
Grazie all’Accademia ho potuto preparare cinque ruoli, in questi due anni, ma quello che voglio veramente interpretare è quello di Rosina. E poi, un altro ruolo da sogno, ma per il quale devo attendere che la mia voce sia più matura, è quello di Charlotte, la musa di Werther. Questo è un personaggio che ho proprio nel cuore e se fosse per me, per come mi sento io, lo canterei oggi stesso. Ma mi fido dei miei insegnanti, che mi hanno detto che ho bisogno ancora di tempo prima di affrontare questo repertorio più pesante. Del resto, anche se sono abbastanza impulsiva e passionale, non farei qualcosa che potrebbe rovinarmi la voce solo per il mio capriccio.
Cantare significa anche avere pazienza!
Invece, a un teatro in particolare, come punto d’approdo, non mai pensato. Non sono una persona molto ambiziosa, in questo senso. Mi piace solo fare musica di qualità con professionisti veri che abbiano anche forti doti umane e che siano in grado di creare un ambiente caldo, ovviamente con un ritorno economico in modo da poter vivere di musica. Non penso sia importante dove si canta, per essere un bravo musicista, ma è importante farlo bene ad alto livello e ci sono splendidi artisti anche fuori dalla cerchia delle grandi sale.
Essendo una cantante, avrai certamente una mania: confessa quale.
Ah sì, sono davvero maniaca delle prove e del riscaldamento! Ho una routine molto particolare che mi ha consigliato la mia logopedista e che mi prende almeno quarantacinque minuti, non per cantare tutto in voce ma per portare la voce a svegliarsi piano piano.
Adoro anche leggere testi che parlano della fisiologia della gola e delle corde vocali, voglio sapere tutto di come funzionano – anche perché sono estremamente delicate e un cantante deve sapere come prendersene cura.
Poi ho un’altra follia: analizzo sempre come parla la gente. Quando parlo con qualcuno penso istintivamente a come sta usando la voce, la respirazione, la bocca, il naso… e poi descrivo tutto al mio fidanzato!
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