Com’è nata la tua passione per il canto lirico?
Da bambina amavo ballare e cantare. La musica ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella mia vita. All’età di 9 anni mi consigliarono di iniziare a studiare canto lirico e così feci. Studiai dapprima all’Accademia Carmelo Mollica di Siracusa e successivamente alla YAP di Marcello Giordani.
Una piccola realtà per un grande sogno.
A Siracusa, dove ho vissuto fino a qualche anno fa, purtroppo non ci sono teatri d’opera e per poter vedere uno spettacolo dovevo prendere il bus e viaggiare per molte ore. Così mi sono abituata a guardare su internet le grandi stelle del palcoscenico. Un giorno vidi su Youtube una performance di Placido Domingo: la sua passione, bravura sul palco e allo stesso tempo la sua umiltà mi colpirono a tal punto che decisi di voler diventare anch’io una cantante lirica professionista. Avevo circa 16 anni. E da quel giorno non mi sono più fermata. Il mio primo ruolo in un’opera teatrale lo ottenni a 20 anni: fui Berta e Adina nell’Elisir d’Amore e poi Rosina nel Barbiere di Siviglia per bambini . Partecipai a numerosi concorsi internazionali vincendo svariati premi tra cui Voci dal Mediterraneo, Etta Limiti, Vincenzo Bellini e città di Alcamo.
Dal Premio As.Li.Co alle audizioni dell’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala.
Nel 2019 vinsi il Premio As.Li.Co per giovani cantanti lirici con il ruolo di Adina nell’Elisir d’Amore per bambini. Quel giorno vi erano alcuni docenti e coordinatori dell’Accademia, i quali mi chiesero se volessi sostenere l’audizione per il Corso biennale di perfezionamento. Io non ci potevo credere. Il Teatro alla Scala lo avevo visto soltanto in televisione!
Quando salii sul palco per le selezioni ero emozionatissima, mi sembrava di vivere in un sogno.
Portai le arie di Adina e Donna Fiorilla del Turco in Italia per l’occasione. Quando mi comunicarono che ero stata ammessa in Accademia, corsi in camerino e chiamai subito i miei genitori piangendo.
Il mio sogno aveva inizio.
Il giorno in cui arrivai a Milano per seguire la prima lezione in aula, mi colpii moltissimo l’entusiasmo dei miei colleghi e il calore con in quale mi accolsero. Per me fu molto importante poiché per la prima volta mi allontanavo da casa per tanto tempo. Dopo due anni, posso dire che non sono più la stessa dei primi giorni. Noemi è cresciuta in ogni aspetto della sua vita.
Lo devo soprattutto ai maestri che mi hanno seguito in questo mio percorso, in particolare Michele D’Elia, Vincenzo Scalera, Paolo Spadaro, Nelson Guido Calzi, Beatrice Benzi e la signora Falasconi…
Quali sono le caratteristiche che deve avere un cantante lirico professionista?
Non è un mestiere che si può svolgere solo cantando, ma ci vuole anche molta concentrazione e soprattutto sentirsi artisti in ogni momento della vita, sia sul palco sia nella vita di tutti i giorni. Questo mestiere ti insegna un approccio molto preciso e metodico.
In Accademia, per esempio, ho imparato a gestire al meglio i rapporti con i colleghi, coi maestri e con tutti gli addetti ai lavori, seguendo i giusti registri della comunicazione. Inoltre, bisogna aver la capacità di sapersi autogestire sia nello studio sia sul palcoscenico, lasciando da parte tutti i problemi personali.
Qualora ci capiti un partner poco “simpatico” è comunque importante dissimulare gli aspetti personali, per trovare la giusta complicità.
Come ti prepari per interpretare un nuovo ruolo?
Quando mi viene affidato un nuovo ruolo, inizio prima a studiare la musica, poi proseguo con il perfezionamento del tutto. Lavoro sui colori della voce e alla fine, quando mi sento sicura, approfondisco lo spartito, la storia dell’opera e il carattere del personaggio. Non mi piace diventare un’altra persona in toto quando interpreto, preferisco che sia Noemi a prendere qualcosa dal personaggio. Che le due anime si incrocino per dar vita a qualcosa di nuovo e personale.
Ovviamente lo studio del personaggio è qualcosa che andrà successivamente rivisto con il direttore d’orchestra e il regista.
Com’è il tuo rapporto col pubblico in sala?
Il rapporto col pubblico è sempre difficile e col tempo impari a gestirlo al meglio. Appena sali sul palco ti senti giudicato dai presenti in sala e questo crea un po’ di tensione nel cantante, che vuole assolutamente soddisfare le loro aspettative. Dall’altra parte, invece, penso che senza l’energia del pubblico, non si possa creare il giusto equilibrio affinché lo spettacolo abbia un buon svolgimento. In un teatro importante quello della Scala, dove si sono susseguiti i grandi della lirica, la tensione è sempre molto alta, perché sappiamo che ci si aspetta tantissimo da noi. Non veniamo trattati come degli allievi, ma come veri professionisti.
Ti abbiamo potuta ascoltare nell’aria Le jour, sous le soleil béni tratto da Madame Chrysanthème, per il concerto “Alla francese”. Com’è andata?
Ho riscoperto recentemente il repertorio francese e mi è piaciuto moltissimo potervi lavorare.
Il giorno dell’esibizione, presso il Ridotto dei Palchi del Teatro alla Scala, non c’era il pubblico a causa del perdurare dell’emergenza da COVID-19, quindi ho provato ad immaginarmi di essere in un altro luogo, in una casa di montagna, davanti ad un camino acceso che mi riscaldava. Un’atmosfera quasi da sogno, proprio come suggerisce questa melodia.
Se la tua nipotina ti chiedesse di fare la cantante lirica cosa le consiglieresti?
È un mestiere difficile. Bisogna studiare molto, sempre e costantemente. Come dicevo prima, non è solo un mestiere, ma un vero e proprio stile di vita. D’altro canto è un lavoro bellissimo che ti permette di vivere delle emozioni fortissime, di girare il mondo e conoscere grandi artisti.