Il secondo solista della serie “Uno alla volta, per carità!” che vi presentiamo è Giuseppe de Luca, baritono italiano e allievo del biennio 2021-23 dell’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala.
Lo ascoltiamo in “Ehi, Fiorello?” da Il barbiere di Siviglia appena andato in scena al Piermarini come Progetto Accademia, nell’allestimento di Leo Muscato.
“Uno alla volta, per carità!” è una serie di contenuti dedicati ai solisti che il 15 ottobre 2023, in occasione del Concerto Istituzionale al Teatro alla Scala, riceveranno il Diploma dal Sovrintendente del Teatro, Dominique Meyer. Un’intervista e un video al giorno, da qui alla sera del concerto, per raccontarvi le storie dei giovani allievi anche attraverso le loro interpretazioni.
Partiamo dal principio: com’è stato il tuo primo approccio all’Opera? Raccontaci come hai vissuto questa passione per il canto e le esperienze che ti hanno portata a decidere di venire a Milano per studiare quest’arte.
Il mio percorso ed il mio approccio all’Opera lirica hanno avuto inizio attraverso un incontro importante quanto casuale: durante l’ammissione in pianoforte presso il Conservatorio Cilea di Reggio Calabria, la prima persona che incontrai e con cui ebbi modo di confrontarmi fu proprio l’insegnante che poi mi iniziò a questa arte meravigliosa, Liliana Marzano, a cui devo moltissimo.
La musica ed il canto sono sempre stati una parte fondamentale della mia terra e della mia vita, infatti sin dall’infanzia ascoltavo e cantavo le canzoni popolari calabresi ma anche Villa e Modugno con mio nonno e mio zio; così, mentre studiavo in conservatorio come pianista, decisi di avvicinarmi e intraprendere lo studio del canto lirico. La prima opera che ascoltai fu La bohème: mi rapì in un modo talmente forte da non lasciarmi nessun dubbio: così decisi di proseguire a pieno i miei studi come cantante. Nel corso degli anni ho avuto il privilegio di perfezionarmi con altri grandi Maestri, tra cui il mio prezioso mentore Rolando Panerai, con cui avevo un legame speciale come allievo ed amico. Dopo la sua dipartita ho continuato a perfezionarmi e decisi di iscrivermi alla prestigiosa Accademia del Teatro alla Scala con l’intento di continuare a migliorare e seguire le orme del mio mentore.
Ci parli degli anni trascorsi in Accademia?
Ricordo perfettamente il giorno in cui scesi dal treno, due anni fa, prima che tutto avesse inizio. Ero profondamente emozionato e posso dire di esserlo tutt’ora: è un privilegio assoluto trascorrere del tempo e vivere la mia formazione come giovane professionista in un’accademia ricca di insegnanti e artisti di prim’ordine da cui assorbire quanti più suggerimenti possibili. Se questo è di per sé una fortuna, cantare e maturare esperienze sul palcoscenico del Teatro alla Scala è un sogno assoluto che si avvera. Di sicuro non è stato sempre tutto semplice, ma questo fa parte del mestiere e in ambiente accademico ho avuto modo di comprendere i miei lati migliori e quelli su cui lavorare.
Qual è stata la sfida più grande che hai affrontato ad oggi?
Penso sia stata quella di affrontare una sostituzione last minute durante la produzione di Chiara e Serafina per il Donizetti Opera Festival, in cui oltre ad essere impegnato nel ruolo di Gennaro, ero anche cover del maestro Pietro Spagnoli che cantava rispettivamente nel ruolo di Don Meschino. Il giorno della generale, poco prima di partire per raggiungere il teatro mi comunicarono che il Maestro era indisposto e che avrei dovuto sostituirlo, il tutto senza aver mai fatto alcuna prova musicale e di regia. Alla generale seguì anche la prima come Don Meschino, tutta la produzione ebbe successo e ne ho ricordo come un’esperienza davvero bella ed emozionante. Vissi questa avventura molto serenamente sin da subito, in parte per il mio carattere che mi permette di essere sempre abbastanza tranquillo, e poi anche perché avevo affianco i miei bravissimi amici e colleghi, il direttore Sesto Quatrini e il regista Gianluca Falaschi pronti a sostenermi e ad aiutarmi.
La carriera di un cantante lirico può essere tanto meravigliosa quanto impegnativa e sfidante. Ci possono essere pressioni, aspettative, rischi ma anche emozioni e soddisfazioni incredibili. Inoltre, nel tuo lavoro interpreti diversi ruoli che ti portano a vivere viaggi emotivi intensi: nel lavoro di interpretazione del personaggio senti le sue emozioni, i suoi pensieri, la sua tristezza e la sua gioia. È una esperienza che può essere molto profonda. In generale, questo lavoro è percepito da molti come molto affascinante ma anche molto complesso. Cosa ne pensi? Come gestisci gli aspetti più impegnativi di questa carriera?
Credo che ognuno di noi possa darsi forza a modo proprio, ognuno ha il suo credo o la propria fede su cui fare affidamento. Che sia religiosa o di altra natura, penso che questo possa aiutare ogni cantante a superare difficoltà o momenti duri. Bisogna essere quanto più possibile positivi e fidarsi di sé stessi, questa è la chiave. Inoltre, credo che il nostro mestiere non possa essere definito come un vero e proprio lavoro. Questa “arte e vita” che pratichiamo è pienamente ricca di emozioni, poiché insieme al carattere dei diversi personaggi che interpretiamo portiamo in palcoscenico anche il nostro bagaglio emotivo. È un mestiere che ci dà tanto e che ci permette di donare altrettanto. Per questo sono convinto che, emotivamente, non possa mai pesare davvero.
Durante questo biennio, sei stato supportato dalla Fondazione Nando ed Elsa Peretti. Quanto è stato importante questo sostegno durante questo percorso? Che cosa ha significato per te?
Il sostegno dei donatori è stato assolutamente fondamentale per questo percorso, perché la vita in questa grande e meravigliosa città ha un costo abbastanza elevato. Fortunatamente la borsa di studio mi ha permesso di vivere serenamente questo periodo di perfezionamento, di potermi concentrare sul mio percorso e soprattutto di creare le basi per il mio futuro professionale e lavorativo.
Si ringrazia la Fondazione Nando ed Elsa Peretti per il sostegno