“Devo tutto al Corso per coro di voci bianche: senza quello non sarei la cantante né l’attrice che sono oggi. Ti dà quella marcia in più che a molti professionisti manca”.
I giorni di lezione del Coro di voci bianche sono ormai lontani per il soprano Barbara Massaro, ex allieva dell’Accademia.
Eppure, ogni frase del suo racconto trasuda amore e riconoscenza per quanto appreso allora. Un diploma in viola (sotto la guida di Pietro Mianiti) e uno in canto, Barbara ci ha raccontato così i suoi vent’anni di musica.
“Nella mia famiglia, nessuno è musicista. Anzi, mancava proprio totalmente la cultura musicale, al di là della pratica. C’era il pop, ecco. Sono cresciuta con Zucchero e Celentano, i preferiti dei miei genitori, e poi Giorgia, Elisa… le hit italiane del momento. Ma fin da piccola avevo dimostrato un’innata predisposizione per il canto: cantavo sempre, ovunque, in qualsiasi circostanza.
Quindi i miei decisero di assecondare la mia passione e mi iscrissero al coro del Comune di Milano, dove rimasi per un anno. In seguito, i miei vennero a conoscenza dell’Accademia Teatro alla Scala e mi iscrissero lì. Ed è lì che ho veramente imparato a leggere la musica e ad amare il teatro. Fui subito chiamata come riserva nella Bohème di Zeffirelli, la prima rappresentata nuovamente al Piermarini dopo il periodo scaligero agli Arcimboldi.
Ho iniziato proprio col botto, per così dire, soprattutto se considerate che avevo circa otto anni: immaginatevi l’emozione di una bambina che non era mai stata in teatro e che si trovava davanti, anzi immersa nella regia di Zeffirelli! Ma il passaggio dal pop alla musica colta è stato in realtà naturale; una magia, certo, ma allo stesso tempo qualcosa di familiare, come se quel mondo aspettasse proprio me da sempre”.
I tuoi genitori ti hanno spalancato le porte di un nuovo mondo…
Sì, davvero, e si sono dimostrati molto lungimiranti e attenti. Non hanno perso occasione di confrontarsi con gli alti genitori, quelli che erano magari musicisti o che venivano da famiglie di appassionati e abbonati. Scelsero quindi di farmi studiare anche uno strumento, per aprirmi più porte e darmi la possibilità di essere una musicista più completa e preparata. Ho partecipato agli esami attitudinali e, fra gli strumenti proposti, scelsi la viola.
Studiare musica da strumentista è, per certi versi, molto più difficile che essere una cantante e questo mi ha fatta crescere molto a livello tecnico e poi anche a livello di relazioni. Il cantante è un essere solitario. Certo, è poi inserito in un contesto più ampio, ma sempre in maniera temporanea, per così dire.
Però il canto chiedeva insistentemente il suo spazio nella tua vita
Sì, è così, quindi verso l’ottavo di viola – avevo diciassette, diciotto anni – ho riaperto il cassetto dei sogni e ho preparato l’esame. E una volta ottenuto il diploma, poi, si è aperta la strada dei concorsi, che io non amo particolarmente ma che sono un po’ una tappa obbligata per lanciarsi nell’attività professionale.
Ho iniziato a 21 anni, consigliata dalla maestra con cui ho preparato il diploma e con cui mi perfeziono tutt’oggi, Silvana Manga. Nel 2016 ho vinto il concorso AsLiCo, ottenendo il ruolo di Despina nel Così fan tutte. Non sono una che fa il passo più lungo della gamba, quindi: ero pronta, era proprio il mio momento.
Una bella soddisfazione per i tuoi genitori!
Sì, sono molto orgogliosi. E io di loro! Non lo esterno loro molto spesso, ma sono stati davvero coraggiosi, i genitori che tutti vorrebbero avere. Non solo perché si sono buttati senza riserve in un percorso che non conoscevano, solamente per rendermi felice, ma soprattutto perché la vita da artista è una continua altalena, più che ogni altra professione.
Si sono dovuti lanciare in qualcosa di nuovo ma, allo stesso tempo, rimanere i miei punti forti, i miei fari, cosa che sono anche oggi.
Faresti lo stesso con i tuoi figli, seguiresti lo stesso percorso scelto dai tuoi genitori?
Penso che sia stato il percorso migliore per me. Io sono proprio stata plasmata al Corso per coro di voci bianche e sono molto legata a quei momenti e a quegli insegnamenti.
Ma ogni persona ha le sue caratteristiche, la propria personalità.
Come mamma, a mente fredda, penso che per prima cosa cercherei di capire la personalità di mio figlio. Bisogna avere fame, per seguire questa strada, ma non di successo: di crescita. Non è detto che tutti abbiano questa fame. Io ero, e sono tutt’ora, estremamente volitiva, per esempio, ma la strada artistica non è per tutti.
È un percorso duro, che a volte fa soffrire molto, e questo va messo in conto. Soprattutto quando hai finito di studiare e ti affacci al mondo del lavoro, il palcoscenico può essere spietato, e chiunque dica il contrario mente. Bisogna essere forti e allo stesso tempo di cuore, per reggere il palcoscenico, soprattutto se vieni da una famiglia che non è dell’ambiente.
Da mamma, quindi, partirei da esperienze come spettatore, portando mio figlio a teatro, cercando intanto di capire la sua natura.
Questo non escluderebbe comunque lo studio della musica: penso che dovrebbero studiarla tutti, è una disciplina importante che arricchisce sempre e che dona sempre un bagaglio importante per la crescita personale, ma ben altra cosa è farne una professione.
Nonostante tu abbia solo ventotto anni, in curriculum hai di tutto: produzioni teatrali, recital, concerti di musica sacra, musica da camera, live e incisioni. Ma qual è il repertorio e la circostanza che più ti si addicono?
Oggi il repertorio che più si confà alla mia voce è quello del Settecento e in generale il Belcanto. Fra qualche anno però potrò certamente approcciare un repertorio più lirico.
La “condizione” in cui mi sento più a mio agio è certamente la recita; amo anche la dimensione del concerto, così come mi sono divertita a incidere cd, ma la messa in scena teatrale è sicuramente quello che mi fa vivere.
Negli anni in cui sei stata voce bianca ti sei formata con tre grandi professionisti: Alfonso Caiani, Marco De Gaspari e Bruno Casoni.
Ce li tratteggi in qualche riga?
Davvero una grande fortuna averli avuti tutti e tre!
Il maestro Caiani era il più severo di tutti, colui che ci ha insegnato il rigore della preparazione e che ci ha messo chiara in testa l’idea di dover essere sempre professionali. Anche se eravamo solo dei bambini, pretendeva la stessa disciplina richiesta agli adulti, e questo si è subito scolpito in me come base di tutta la mia formazione.
In teatro è molto importante come ti poni, la tua attitudine, e Alfonso aveva proprio questo – oltre a una smisurata preparazione musicale: la capacità di donare un metodo.
Sarà davvero bello incontrarlo a breve alla Fenice, dove sarò in aprile con I lombardi alla prima crociata. Non lo vedo da anni, ma ora ritroverò il mio maestro…la vita chiude sempre i suoi cerchi!
Marco De Gaspari è un pianista eccezionale, con cui sono sempre rimasta in contatto. Ha la capacità di trovare sempre una soluzione a ogni cosa, in qualsiasi situazione, e di creare la comunità. Era lui che legava tutti e che aveva sempre un occhio anche alla nostra trasformazione – perché eravamo bambini e adolescenti in crescita.
E il grande Bruno Casoni è il “re dei miracoli”. Quando le prove sembravano un disastro – a volte avevamo due produzioni in contemporanea oltre ai concerti, ed era impossibile preparare tutto bene allo stesso modo – lui faceva miracoli con estrema lucidità, non c’è altro modo per dirlo.
Ha un’esperienza enorme, maturata in anni e anni, ma te la dona con grande naturalezza.
Una persona profondamente dolce, umana e che non si arrabbiava quasi mai. Mi ha donato l’estro e l’idea di trasmettere sempre, con la musica, un messaggio.
Una produzione che ti ha segnata, che ricorderai per sempre?
Difficile scegliere, ce ne sono così tante! Ognuna ha la sua storia…
Beh, la prima Bohème è nel mio cuore perché in quel momento ho capito che volevo proprio cantare, come attività principale della mia vita.
Poi direi il Tannhäuser scaligero diretto da Zubin Mehta nel 2010, per il quale avevo preparato la parte del pastore – un lungo intervento in tedesco.
Appena prima della prova, per la quale mi ero preparata intensamente, si vociferava che non mi avrebbero mai presa perché preferivano cantanti tedeschi. E invece, fui scelta per il secondo cast.
Questa esperienza mi ha insegnato a perseverare al di là delle voci e delle circostanze, senza abbattermi mai. La vita è imprevedibile e non si può mai sapere come vanno le cose. L’importante è dare il massimo.
E poi ho imparato, in quell’occasione, che anche come secondo cast ci si può mettere in luce!
Sei da poco stata in Oman, alla Royal Opera House. Com’è andata?
Purtroppo la sala non era piena come ci aspettavamo, fra il pubblico ci sono state un po’ di defezioni – complice anche la pandemia che stiamo ancora attraversando.
Ma ho trovato persone molto accoglienti, uno spirito mediterraneo estremamente simile al nostro: ci somigliano parecchio. Il teatro poi, come struttura, è pazzesco, costruito con i migliori materiali sia all’interno sia all’esterno e con una resa acustica spettacolare. E c’è anche un secondo teatro barocco!
Hai detto pandemia: cosa ti porti a casa dopo questi due anni non facili?
Vivo il presente, molto concentrata sul momento, approfittando di ogni istante per crescere. La pandemia mi ha insegnato a non pianificare.
Nell’articolo, la prima immagine è (c) Ph. Marco Impallomeni – Guglielmo Tell (Jemmy)
Segue un autoritratto di Barbara Massaro, quindi (c) Ph. Fabrizio Margiotta – Le donne vendicate (Aurelia)