Si avvicina il Concerto istituzionale dell’Accademia di Canto, evento che per alcuni allievi segna la conclusione del biennio di perfezionamento.
Paolo, cosa interpreterai al Concerto Istituzionale?
Canterò “Firenze è come un albero fiorito” dal Gianni Schicchi, un’aria che avevo già in repertorio e che è un po’ un cavallo di battaglia – mi piace presentarla ai concorsi e nei recital.
È una pagina che presenta delle difficoltà vocali e interpretative. Si muove tutta nella tessitura più acuta, infatti, impegnando molto la voce, e inoltre il testo descrive una città. Versi d’amore, ma non per una donna… bisogna essere in grado di “mostrare” Firenze anche a chi non la conosce, il pubblico deve riuscire a vederla e ad amarla.
In questa occasione avrai un pubblico più tradizionale, ma sei stato il protagonista anche della Cenerentola per i bambini. Quale pubblico ami di più?
Non ho preferenze, a dire il vero. Però, conquistare l’attenzione dei bambini ti fa sentire bravo. Sono molto spontanei: se si annoiano, dormono. Se si divertono, lo manifestano apertamente. Non hanno sovrastrutture e in questo senso danno molte soddisfazioni. Nel pubblico adulto c’è anche gente che non è affatto interessata all’opera, ma magari è lì solo per criticare, o ancora solo per farsi vedere…
Torniamo a Cenerentola, la tua prima esperienza come allievo scaligero. Come ti sei preparato?
Sì, appena ammesso in Accademia mi sono trovato a misurarmi con questo titolo, che non ho mai debuttato in versione completa.
Nel frattempo, ero impegnato in un Elisir d’amore a Vicenza e quindi riuscii a seguire solamente tre prove prima della generale. Il grosso del lavoro l’ho affrontato da solo con me stesso, insomma. Ricordo di aver registrato, con il mio cellulare, la generale del primo cast e di aver ricostruito la scena alla bell’e meglio nella mia stanza, per studiare a casa.
E poi via, una serie di recite, da cui comunque si impara sempre – lo studio non termina con le prove.
Ma se ti chiedessi i tuoi autori preferiti, figurerebbe Rossini?
Sì, certamente! Anzi, è proprio fra i primi che citerei. È amore e odio, diciamo, perché è un autore dalla scrittura complessa, per nulla semplice da affrontare. Ma è impossibile che non piaccia. È spiritoso, geniale nella scrittura, divertente da interpretare…
Altri preferiti? Un po’ tutti, a dire il vero. Ognuno ha una sua peculiarità che mi attira, da Mozart a Verdi.
Quando hai iniziato a desiderare di diventare cantante d’opera?
Da piccolo volevo fare il pugile, pensa! Ma decisamente non era la mia strada…
Da ragazzino, poi, frequentavo il liceo musicale e avevo una band punk rock, i Metropolis. A un certo punto, il chitarrista del mio gruppo, che è il mio migliore amico, decise di trasferirsi a Parma – perché lì il Conservatorio ha l’indirizzo pop. Decisi di seguirlo, ma dal momento che già al liceo studiavo canto lirico scelsi questo percorso, piuttosto che il pop.
In realtà non conoscevo per nulla il mondo dell’opera.
Lì a Parma, poco dopo, ebbi modo di assistere a una Bohème con Ștefan Pop e mi sono totalmente innamorato di questo genere. È stato in quel momento che ho iniziato a pensare a questa strada come alla mia. E dopo il Conservatorio, sono subito approdato in Accademia.
Che ne è stato dei Metropolis: vi suoni ancora?
No, i Metropolis non esistono più. Ci siamo sciolti perché quando manca uno poi si perde l’anima del gruppo e inoltre abbiamo preso strade diverse. Il chitarrista ancora suona e ha un suo progetto indipendente e questa estate c’è stata una fugace reunion in cui abbiamo cantato il nostro pezzo più famoso, ma nient’altro.
Dai palcoscenici del punk al tempio della lirica. Eri mai stato alla Scala, prima del concorso?
No, mai, nemmeno fra il pubblico.
Cantare lì è stato estremamente suggestivo, ma non avevo una particolare ansia da prestazione perché ancora non conoscevo tutto quanto accaduto su quel palcoscenico.
Avevo ancora poche conoscenze del mondo e della storia dell’opera, lo ammetto, e quindi non mi rendevo bene conto di cosa significasse.
Ricordo che mi emozionava l’idea che un teatro storico “assorbisse” la mia voce, per così dire, però allo stesso tempo ero anche estremamente spensierato.
A ripensarci ora, mi viene un po’ da sorridere.
Però, a chi volesse provare lo stesso concorso darei il medesimo consiglio: presentarsi sereni, farlo e basta senza pensare troppo, ma semplicemente “sentendo” la musica, che è l’unica cosa che ha importanza.
Un bilancio finale dei due anni trascorsi come allievo
Il biennio in Accademia mi ha arricchito molto in conoscenze ed esperienze. Fornisce un quadro generale di vizi e virtù del mondo dell’opera, quello che il pubblico non vede – come il backstage e le relazioni umane. Conoscere e spersi muovere in questi due ambiti è importante tanto quanto saper tenere il palcoscenico, se si desidera avere una carriera in questo mondo.
Anche per quanto riguarda le produzioni, nonostante il Covid, posso ritenermi molto soddisfatto. Ho avuto la possibilità, per eventi fortuiti, di fare più di altri compagni di corso. Ho cantato in Romeo e Giulietta, nella Cenerentola e ne Le nozze di Figaro.
Una curiosità su Paolo, qualcosa che il pubblico non vede…
Mi accade questa cosa bizzarra, ogni volta che sono impegnato con una produzione che in qualche misura mi mette ansia: perdo la voce. Due giorni prima del debutto sono totalmente afono! Ma so che è psicologico e ormai ci convivo. Al momento opportuno, la voce torna da sola.
E se non fossi cantante?
Vivrei comunque di musica e di arte più in generale, senza dubbio. Oltre al canto, mi appassiona la regia. Chissà, magari in un futuro…