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  • Arianna Giuffrida, da Roma a Milano per amore del canto

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    Uno alla volta…per carità! prosegue il viaggio che ci permette di incontrare e conoscere i solisti dell’Accademia di canto prossimi al diploma.

    Oggi siamo con Arianna Giuffrida, un giovane soprano laziale.

     

    Come nasce la tua passione per la musica?

    Vengo da un piccolo paese in provincia di Roma, Canale Monterano. Non ho una famiglia di musicisti alle spalle, ma mia madre ha sempre amato molto il canto, cantava infatti a livello amatoriale, e mi ha trasmesso questa passione sin da bambina.

    Devo dire che non ricordo neppure quando ho iniziato a cantare poiché le mie primissime esperienze risalgono proprio alla mia infanzia, quando cantavo nel coro parrocchiale del mio paese. Ero però una bambina molto timida e avevo paura di esibirmi da sola di fronte a un pubblico. Ho superato questo blocco con il teatro e grazie al musical. Mi sono appassionata a questo genere, frequentando anche diverse masterclass. Un giorno, due vocal coach che tenevano una di queste masterclass, sentendomi cantare mi consigliarono di provare con il canto lirico.

    All’epoca non conoscevo l’opera, quasi non mi piaceva. Tuttavia, incuriosita, ho iniziato a studiare, ad approfondire, e me ne sono innamorata. Avevo 15 anni, frequentavo ancora il liceo. Decisi pertanto di concludere gli studi liceali per poi entrare in Conservatorio. Conseguita la maturità a luglio, ho trascorso tutta l’estate a studiare giorno e notte per entrare al Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma. Ed è andata bene.

     

    Come sei approdata in Accademia?

    Quando sono entrata in Conservatorio, la mia voce era ancora del tutto naturale, perché, come dicevo prima, studiavo canto da pochi anni. Ho iniziato praticamente tutto da zero. 

    Ho avuto la fortuna di incontrare una grande docente, Cinzia Alessandroni, che mi ha accompagnata con grande professionalità e attenzione in questo percorso.  Dopo tre anni, ho conseguito il diploma e ho partecipato a due concorsi di canto: nell’ambito del primo, il Premio Fausto Ricci, promosso dall’associazione XXI Secolo ho vinto come “Giovane Talento”.

    Nel secondo, fra i membri della giuria vi era Toni Gradsack, all’epoca casting manager del Teatro alla Scala, il quale, dopo la mia esibizione, mi consigliò di partecipare alle selezioni per entrare in Accademia. All’inizio ero un po’ incerta se presentarmi, avevo solo 21 anni e pensavo fosse troppo presto per me. Non mi sentivo ancora pronta e matura per seguire un corso di perfezionamento. Ho provato e ce l’ho fatta.

    Ricordo ancora il momento in cui il Responsabile del Dipartimento Musica dell’Accademia, Daniele Borniquez, si rivolse a noi finalisti prima di annunciare i nomi dei vincitori, in particolare ai più giovani, dicendo di non abbatterci nel caso in cui non fossimo stati selezionati, ma anzi di tentare nuovamente. Pensavo di essere fra questi e invece ….

     

    arianna giuffrida bianco e neroChe cosa ricordi della tua prima volta alla Scala?

    Avevo visitato il Museo Teatrale e quel palco lo avevo visto solo da lontano. Salirci per l’audizione per l’Accademia mi ha dato un’emozione incredibile.

    Appena ho finito la mia esibizione, ho chiamato la mia insegnante che mi ha subito chiesto che cosa avessi provato a cantare su quel palcoscenico e come avessi cantato. Ebbene, le dissi che non lo ricordavo affatto! Ho portato “Ebben? Ne andrò lontana” da La Wally, un’aria impegnativa. Ero ammaliata dai palchi, dalle luci, dal fatto di essere lì su quel palcoscenico. Quando il pianista ha iniziato a suonare, ho cominciato a cantare, senza preoccuparmi troppo delle note. Ho “semplicemente” cantato, circondata da tanta bellezza.

     

    E dopo l’audizione?

    Il concorso si è tenuto a dicembre del 2018, ma l’inizio del Corso in Accademia era previsto nell’autunno dell’anno successivo, quindi molto più in là nel tempo. Sono stata molto fortunata, perché ancora prima di iniziare le lezioni in Accademia, ho debuttato al Teatro alla Scala in una piccola parte, come soprano secondo, nella produzione Die ägyptische Helena di Richard Strauss.  Una produzione veramente importante, per me la prima volta in tedesco, la prima volta impegnata in un’opera. Ricordo ancora la grandezza dell’organico dell’orchestra. Una regia intensa. Cantanti pazzeschi, come Ricarda Merbeth, Andreas Scagher.

     

    Il primo giorno in Accademia come nuova allieva, che cosa ricordi?

    Il primo giorno fu con Luciana D’Intino. Avevo ovviamente timore di trovarmi di fronte a una figura del genere e volevo dimostrare di essere all’altezza.

     

    Che insegnante è Luciana D’Intino?

    Un’insegnante molto esigente, che chiede tanto, ma che dà veramente tantissimo. Preferisco una docente severa, non mi interessa l’accondiscendenza. Ha una passione, un trasporto, che nascono anche dalla sua forza nel canto. Una forza non di volume, ma d’intenzione, cosa che peraltro lei vuole da me. L’attenzione al fraseggio, la precisione sulla parola scenica.

     

     

    Quando si è sul palcoscenico durante un’opera, la sala è buia e il pubblico non si vede.

    Tu lo senti comunque?

    Lo sento e soprattutto avverto il momento in cui il pubblico ha capito: sento che quel suono è giusto, che quell’intenzione è giusta. Molto spesso ho avuto i brividi durante un’esibizione perché sono riuscita, nel mio piccolo, a lasciarmi andare. Credo che essere una grande interprete significhi arrivare a essere talmente completa tecnicamente e scenicamente da essere capace di lasciarsi andare in toto, senza pensare troppo alle note, alle posizioni. 

    Ovviamente ciò potrà accadere solo con l’esperienza.

     

    Interpretare un personaggio, cosa significa per te, come ti prepari?

    L’opera ti permette di vestire ogni volta i panni di un personaggio diverso, spesso con caratteristiche molto differenti dalle tue.

    Si parte sempre dalla storia originale, dal libretto, cercando di essere il più possibile fedeli, ma poi, inevitabilmente, ci si mette qualcosa di sé nel personaggio che si interpreta. Questo è ciò che mi affascina di più: raccontare le storie di tanti personaggi, le trame più belle, partendo dalle mie emozioni.

     

    Quanto è importante crearsi un proprio stile? Guardi le interpretazioni dei grandi artisti di ieri e di oggi?

    Mi piace vedere e studiare le più grandi interpreti, soprattutto quelle più vicine alla mia vocalità, per comprenderne le varie sfumature. Ma ovviamente devo essere in grado di trovare il mio personale modo per interpretare un personaggio. Anche perché ogni artista è differente dall’altro, a cominciare dalla fisicità spesso molto diversa.

     

    Qual è il tuo repertorio d’elezione? E quale il ruolo dei tuoi sogni?

    Ho una voce da soprano lirico, che andrà progressivamente verso un lirico spinto più drammatico che mi permetterà di lavorare su altri ruoli. In questo momento devo scegliere i ruoli giusti per la mia vocalità e per la mia età: quindi la Contessa delle Nozze di Figaro o Fiordiligi, per esempio.

    Parliamo di Mozart, di belcanto o di un primo Verdi. Poi la voce si trasformerà. L’opera che preferisco forse è Tosca, ma amo anche tutte le opere di Verdi, mi piace la sua potenza e la sua dolcezza allo stesso tempo.

     

    arianna giuffrida in concerto con michele d'elia al ridotto della scalaE sul repertorio straniero?

    Devo dire che amo tantissimo il repertorio italiano, e su quello straniero non ho ancora sviluppato una forte passione. Ciò dipende anche dalla difficoltà della lingua, per esempio quella tedesca. Tuttavia, ovviamente, se dovesse capitare, si studierà!

     

     

    Questi due anni di studio, purtroppo, sono stati inevitabilmente minati dalla pandemia che ci ha colpito tutti. Come hai vissuto questo periodo?

    Il primo lockdown l’ho trascorso a casa, a Roma. Quando abbiamo appreso di poter seguire delle lezioni online, devo dire che è stato un po’ un sollievo, perché almeno avevamo l’opportunità di cantare, di continuare a studiare. Altrimenti tutto sarebbe rimasto nella totale immobilità.

    Certo, lo studio online non è certo paragonabile a quello dal vivo, ma almeno è stato utile.

     

    Tra 10 anni dove ti vedi?

    Spero di trovarmi in giro per il mondo a cantare. Mi piace l’idea di poter portare l’opera lirica, soprattutto quella italiana, nei più importanti teatri del mondo. Perché l’opera è di una tale bellezza che non può non piacere. Uno spettacolo d’opera è lo spettacolo più completo che esista, perché racchiude musica, canto, danza, scenografia, costumi, regia. Come può non piacere?

     

    Quanto è importante quello di cui parli, la scenografia, il trucco, il costume e tutto ciò che contribuisce alla realizzazione di uno spettacolo?

    Per me è fondamentale. È ovviamente bellissimo tenere dei concerti, ma il canto in quel caso, sembra un po’ fine a se stesso. Invece, quando sei impegnato in una produzione, grazie alla presenza delle scene, dei costumi, del trucco, entri veramente nel cuore dell’opera. Aiuta tantissimo, aiuta a comprendere meglio il personaggio; grazie al regista si trovano nuove sfumature, per esempio.

     

    Che cosa diresti a un ragazzino che non conosce l’opera per farlo incuriosire ed appassionare?

    Direi che nell’opera può provare tanto stupore perché può trovare così tante diverse espressioni di “bellezza”: musica, danza, canto, scenografia, costumi.

    C’è bisogno di tanta curiosità per potere apprezzare al meglio l’opera.

     

    Qual è l’insegnamento più importante che ti ha lasciato l’Accademia?

    Mi porto dietro tutte le lezioni e tutte le piccole cose che ogni nuova lezione mi ha dato. Anche oggi, siamo ormai alle ultime battute, ho scoperto qualcosa di nuovo. Credo che porterò con me proprio questo metodo: la ricerca continua della perfezione, che ovviamente non arriverà mai, ma è ciò a cui si deve tendere. Ogni giorno un passo in più, un tassello in più.

    Questo è successo con tutti i docenti e i maestri accompagnatori che ho incontrato in Accademia. Ogni giorno con ciascuno di loro ho scoperto qualcosa di nuovo, cercando di migliorare, sempre. E poi, frequentare il mondo della Scala, un mondo magico, bellissimo.

     

     

    I solisti dell’Accademia di canto ricevono una borsa di studio per la frequenza.

    Tu hai avuto la fortuna di incontrare i tuoi mecenati, i signori Staffico. Com’è il rapporto con loro?

    È molto importante per me poter avere il loro sostegno.

    Ci siamo incontrati, hanno assistito a una mia prova. Si è instaurato un bellissimo rapporto. Tra l’altro, ci siamo appena sentiti perché ci tenevo ad invitarli personalmente al concerto dell’8 novembre. Sono persone speciali e si percepisce in modo molto forte che sono animati da una reale volontà di aiutare, sostenere. Li sento molto vicini e mi piace vedere che il loro interesse per l’opera e per l’arte in generale è veramente sincero.

    Continuerò a mantenere i contatti con loro, sicuramente.

     

    Impegni futuri?

    Parteciperò a dei concorsi importanti e farò audizioni … ma non diciamo nulla per scaramanzia. Incrociamo le dita. Intanto, studierò tanto, con l’ausilio dei maestri accompagnatori.

     

    La figura del pianista accompagnatore quanto è importante per un cantante?

    Sostanziale. Un cantante lirico può studiare da solo il libretto, la musica, ma la vera preparazione dei ruoli avviene con il pianista. Scoprire il personaggio, il fraseggio, leggere lo spartito con il maestro accompagnatore è imprescindibile per un cantante. Rimarrò a Milano proprio per questo. Qui ho trovato maestri straordinari e, inoltre, la città offre tantissimo per chi ama l’opera e vuole vivere di questo.

     

    Ti abbiamo vista recentemente esibirti in occasione del concerto “Alla Francese”. Come ti sei trovata ad interpretare questo repertorio?

    Un repertorio molto affascinante, suadente, intenso. Il concerto è stato trasmesso in streaming, senza la presenza del pubblico. E questo non è stato facile. Ma credo che questa esperienza mi abbia resa più forte, anche grazie agli insegnamenti che ho ricevuto qui in Accademia. Ho imparato molto, sono state sicuramente individuate e valorizzate le mie doti, ma credo che mi siano stati dati soprattutto gli strumenti per camminare da sola e spingermi sempre oltre.

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