Oggi vi raccontiamo di Matías Moncada, basso cileno che questa domenica 15 ottobre riceverà il Diploma dal Sovrintendente del Teatro alla Scala, Dominique Meyer, durante il Concerto Istituzionale al Piermarini che chiude il biennio del corso per cantanti lirici dell’Accademia.
Con un’intervista e un video al giorno, da qui alla sera del concerto, vogliamo raccontarvi le storie dei giovani allievi anche attraverso le loro interpretazioni. Nel caso di Matías vi proponiamo “Pappataci! Che mai sento” da L’italiana in Algeri:
Partiamo dal principio: com’è stato il tuo primo approccio all’Opera? Raccontaci come hai vissuto questa passione per il canto e le esperienze che ti hanno portata a decidere di venire a Milano per studiare quest’arte.
Nel mio paese in Cile, che si chiama Temuco, l’opera lirica non è conosciuta, non fa parte della nostra cultura. Quindi, se devo essere sincero, io sono arrivato a questa realtà un po’ per caso. E devo dire che i percorsi del caso sono sempre i migliori. La storia è che, grazie ad amici, ho fatto un’audizione per il coro comunale a sedici anni, e mi hanno preso subito. Mi piaceva molto cantare e decisi di continuare a farlo anche durante i miei anni di studi all’università, sempre da autodidatta. Inizialmente mi ero iscritto a infermeria ma dopo una crisi, che mi ha fatto capire che quella non era la mia strada, ho cambiato facoltà per studiare ingegneria, seguendo il percorso di mio padre.
In ingegneria una delle mie docenti amava l’opera e mi aveva sentito per caso cantare. E, sempre per caso, sua figlia aveva studiato sei anni di medicina per lasciare all’ultimo anno e dedicarsi al violino, dunque aveva una storia molto simile alla mia! Questa persona mi ha consigliato di andare a Santiago, la capitale, per studiare canto lirico e musica seriamente. Mi ha aiutato moltissimo. È incredibile che se non fosse stato per una serie di coincidenze probabilmente non sarei mai diventato un cantante.
I miei genitori non erano d’accordo ma neanche contrari, erano molto preoccupati per me dato il mio trascorso e anche per il fatto che studiare musica non è qualcosa di comune nel mio paese. Avevo comunque preso la mia decisione e dunque mi sono trasferito a Santiago a vent’anni, iscrivendomi a corsi di musica all’università che mi sono potuto permettere grazie a borse di studio e grazie al lavoro nel Teatro Nazionale dell’Opera. In Teatro ho conosciuto Pietro Spagnoli, colui che mi ha suggerito di tentare l’audizione dell’Accademia… e da lì è iniziato tutto.
Ci parli degli anni trascorsi in Accademia?
È stato un percorso bellissimo. A livello di formazione non credo che ci sia di meglio: ho avuto la possibilità di lavorare con tutti i più grandi cantanti e pianisti al mondo e sono cresciuto molto come musicista.
Però, per me, la cosa più bella e importante è stata la possibilità di instaurare relazioni umane profonde e senza tempo. Sia in Accademia che in Teatro ho trovato amici e persone che mi hanno aiutato, e una ricchezza del genere per me è incommensurabile, molto di più del lato artistico.
Qual è stata la sfida più grande che hai affrontato ad oggi?
Forse non è la risposta che ci si aspetta…ma devo dire che le sfide tecniche o artistiche non sono così importanti per me. Mi spiego meglio: amo questo mestiere, ho lasciato la mia famiglia e il mio paese per due anni per diventare un cantante professionista e rispetto immensamente questo mondo e chi ne fa parte. Tuttavia, per come sono fatto, tutto gira intorno alle persone e al mio rapporto con loro. Tutto ciò che c’entra con lo studio, la tecnica, i grandi debutti, il lato professionale della mia vita, è qualcosa che proteggo e sviluppo ogni giorno, ma che va in secondo piano rispetto alle persone.
Per esempio, uno dei momenti in cui mi sono emozionato di più nella mia carriera è stato quando ho debuttato come Figaro nella produzione del Barbiere di Siviglia che Accademia ha portato in scena in Oman, alla Royal Opera House. Ma ero emozionato non tanto per la mia prima volta su un palcoscenico così importante o per dover affrontare un ruolo così iconico, ero emozionato per le persone con le quali stavo condividendo quell’esperienza incredibile. Ricordo che, a sipario chiuso, qualche secondo prima di iniziare, mi sono guardato con Francesca Pia Vitale e in quel momento ho proprio sentito nascere e consolidarsi un affetto che so rimarrà per sempre. E dietro di noi c’erano tutti gli altri miei colleghi, la regista, tutte persone incredibili, capaci di emozionarmi e rendermi felice. Provavo quelle sensazioni per loro, non per il debutto in sé.
La carriera di un cantante lirico può essere tanto meravigliosa quanto impegnativa e sfidante. Ci possono essere pressioni, aspettative, rischi ma anche emozioni e soddisfazioni incredibili. Inoltre, nel tuo lavoro interpreti diversi ruoli che ti portano a vivere viaggi emotivi intensi: nel lavoro di interpretazione del personaggio senti le sue emozioni, i suoi pensieri, la sua tristezza e la sua gioia. È una esperienza che può essere molto profonda. In generale, questo lavoro è percepito da molti come molto affascinante ma anche molto complesso. Cosa ne pensi? Come gestisci gli aspetti più impegnativi di questa carriera?
Seguendo ciò che ho detto prima, io divido molto il mio lavoro dalla mia vita, quindi secondo i miei valori e il mio modo personale di vivere non permetto al lavoro di influenzarmi più di tanto. Questo non vuol dire che non mi interessi o che non mi impegni al massimo: studio assiduamente e ci metto tutto me stesso, ma per me la vita è altro. Il Covid secondo me ha provato a insegnarci che dal nulla tutto può finire e le cose che restano sono ben poche, e sono quelle le più importanti. Non voglio che la mia vita giri intorno all’opera o al lavoro che faccio, perché è qualcosa che può finire da un momento all’altro.
Questo mio approccio alla vita devo dire che mi toglie tantissima pressione… ovviamente ho avuto diversi momenti in cui sono stato ansioso rispetto a una performance, ma rimane sempre tutto nella sfera tecnica. Quindi ripeto che, per quanto ami davvero questo mestiere, alla fine del giorno non è la cosa più importante per me e non dovrebbe neanche esserlo, non mi porto la produzione a casa, perché ho bisogno di avere spazio per coltivare le relazioni della mia vita.
Si ringraziano tutti i sostenitori dell’Accademia di Canto