Manca ormai pochissimo al Concerto Istituzionale al Teatro alla Scala, dove i olisti del biennio 2021-23 dell’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici si diplomeranno. L’occasione ci porta a raccontarvi le storie dei giovani allievi, anche attraverso le loro interpretazioni.
Oggi scopriamo Greta Doveri, che accompagna il suo racconto con “Il vecchiotto cerca moglie” da Il barbiere di Siviglia, appena andato in scena al Piermarini come Progetto Accademia.
Partiamo dal principio: com’è stato il tuo primo approccio all’Opera? Raccontaci come hai vissuto questa passione per il canto e le esperienze che ti hanno portata a decidere di venire a Milano per studiare quest’arte.
La mia storia con l’opera lirica è abbastanza singolare: non era nei miei piani di vita inizialmente. Mi sono avvicinata al canto a 9 anni quando studiavo musica leggera in una scuola vicino alla mia città, che è un piccolo paesino in Toscana. Mi piaceva molto la musica afroamericana, il soul, il blues, scrivevo anche canzoni. Ho partecipato a diversi concorsi e trasmissioni televisive come “Io Canto” su Canale5 o il Junior Eurovision Contest nel 2012, il Festival di Castrocaro su Rai1 ect. Quando ho iniziato il Liceo Musicale a Lucca però, mi è stato richiesto lo studio della musica classica. Io non sapevo nulla del repertorio, di cosa fosse una voce impostata, non avevo mai fatto vocalizzi, non avevo mai studiato su degli spariti… ma la mia primissima insegnante, già il primo giorno, ha notato una mia naturale predisposizione alla lirica. Infatti, quando le dissi che non avevo mai studiato quel genere, pensava la stessi prendendo in giro. La verità è che l’opera era un genere che non mi aveva mai attratto particolarmente e mi sentivo più affine a un altro mondo e ad altri stili. Probabilmente era così perché non lo conoscevo ancora, infatti col tempo l’opera è diventata da sconosciuta a un grande amore. Soprattutto grazie a Puccini, che ho iniziato a studiare fin da piccola, anche se è noto serva una maturità tecnica e interpretativa notevole per averci a che fare. A 18 anni ho iniziato i primi concorsi di canto lirico e sono andati tutti molto bene, meglio di quanto mi aspettassi. Grazie a questi risultati e grazie all’incoraggiamento di persone nel settore ho deciso di fare mia questa carriera, che occupava ormai un posto molto importante nella mia vita. Ricordo che un concorso decisivo per me è stato AsLiCo nel 2021, che mi ha dato la forza di tentare l’audizione per l’Accademia. Sarebbe stato un sogno per me riuscire ad entrare a soli 21 anni, e quando questo sogno si è avverato la mia vita è cambiata.
Ci parli degli anni trascorsi in Accademia?
Ritengo che l’Accademia non sia solo un’esperienza professionale ma di vita. Dopo questi due anni a Milano, città piena di occasioni e opportunità molto diversa dal piccolo paesino di campagna da cui provengo, sono cresciuta molto sia come persona sia come artista. In Accademia ho lavorato con professionisti di altissimo livello come la signora D’Intino e maestri come Scalera, D’Elia, Finazzi e molti altri. Un giovane cantante ha la possibilità di confrontarsi con artisti da tutto il mondo e si ha l’occasione di andare in scena in Scala debuttando ruoli importanti. Da subito si viene messi in confronto con un palco considerato tempio della lirica e questo è estremamente prezioso e formativo. Mi sento di dire che chiunque viene ammesso è un privilegiato. Dal lato umano, lo staff del Dipartimento Musica dell’Accademia è splendido, ci hanno fatto sempre sentire a casa e sono diventati una seconda famiglia. Condividere questo viaggio con dei colleghi e in generale con persone così belle e artisti così d’ispirazione è stato un motivo di orgoglio e felicità. È un percorso fatto di tanta condivisione e sono stata molto fortunata.
Qual è stata la sfida più grande che hai affrontato ad oggi?
Affrontare diversi stili. Credo sia una sfida in realtà per ogni cantante, ma per me è stato davvero impegnativo. Molto spesso ci si appassiona a un determinato autore, stile, parte specifica del repertorio, perché si è guidati dall’istinto e da ciò che più è vicino alla nostra sensibilità. Naturalmente, quando si entra in un’Accademia di alto perfezionamento, e in generale nel mondo del lavoro, l’essere duttili è una prerogativa. E questo l’ho imparato dal mio primo ruolo in Accademia, Carolina nel Matrimonio Segreto, che è un repertorio completamente distante dal mio ed è stata una grande sfida.
Personalmente, penso che quando un’artista comincia a spaziare nel repertorio e studia con dei maestri bravi come quelli che ho avuto io in Accademia, inizia ad appassionarsi davvero a tutto perché c’è troppa musica meravigliosa per limitarsi a un solo stile. Per me aprirmi è stata la sfida più grande, ma anche la più appassionante.
La carriera di un cantante lirico può essere tanto meravigliosa quanto impegnativa e sfidante. Ci possono essere pressioni, aspettative, rischi ma anche emozioni e soddisfazioni incredibili. Inoltre, nel tuo lavoro interpreti diversi ruoli che ti portano a vivere viaggi emotivi intensi: nel lavoro di interpretazione del personaggio senti le sue emozioni, i suoi pensieri, la sua tristezza e la sua gioia. È una esperienza che può essere molto profonda. In generale, questo lavoro è percepito da molti come molto affascinante ma anche molto complesso. Cosa ne pensi? Come gestisci gli aspetti più impegnativi di questa carriera?
Penso che il rischio faccia parte della vita di ogni cantante e che sia anche l’ingrediente fondamentale per fare cose importanti. Dal mio punto di vista, se ami questo mestiere, ami anche questo connubio di rischio e gratificazione. Io credo molto nel rischio calcolato e razionale, sta nell’intelligenza della persona scegliere le occasioni in cui vale la pena fare un salto nel vuoto. E spesso questo “pericolo” rende le cose più magiche.
Per quanto riguarda l’interpretazione psicologica dei personaggi: è la cosa più bella di questo lavoro per me. E anche la più complicata. Bisogna entrare dentro lo spirito del personaggio e portarlo in vita, renderlo una persona. In questo bisogna trovare un equilibrio che ti permette di inserire anche aspetti del proprio vissuto, per rendere il personaggio più umano e più vero. È molto intimo e infatti io trovo che questo mestiere si intreccia spesso e volentieri alla vita personale… è difficile a volte trovare un confine.
Io credo fermamente che il Teatro porti in scena la vita e che i personaggi, una volta estrapolati dalla partitura, diventano esseri in carne ed ossa con pensieri e sentimenti, che noi cantanti ospitiamo per il tempo della recita. Non è finzione, è un regalo che l’artista dà al pubblico: non solo storie ma vita vera.
Durante questo biennio, sei stata supportata dalla Hildegard Zadek Foundation. Quanto è stato importante questo sostegno durante questo percorso? Che cosa ha significato per te?
Il supporto della Hildegard Zadek Foundation è stato di fondamentale importanza, ci tengo molto a ringraziare la Fondazione per aver scelto di assegnarmi una borsa di studio. Sono onorata di tutto il supporto che hanno dato a me e a tutti i giovani artisti, perché permettono ci permettono non solo di portare avanti un sogno personale ma anche la grande tradizione del bel canto italiano, cosa cruciale dal punto di vista storico culturale.
Sono sempre in contatto con loro, vengono a vedermi ai concerti e ci aggiorniamo su tutti i miei passi. Inoltre, per me Hildegard Zadek è un’ispirazione dal punto di vista artistico, perché ambisco ad avere alcuni dei ruoli che ha cantato e a interpretarli bene come lei, ma anche dal punto di vista umano, perché lei ha vissuto in un periodo storico veramente difficile e la sua vita è stata altrettanto complessa, e la forza che ha dimostrato nell’affrontare tutto questo è una fonte incredibile di stima.
Si ringrazia la Hildegard Zadek Foundation per il sostegno