La Hall of Fame ci porta oggi a scoprire la storia di un’arpista d’eccezione, Claudia Lucia Lamanna.
Ex allieva del Corso per professori d’orchestra, vincitrice del concorso per arpa più importante del mondo, Claudia ci ha raccontato qualcosa di sé fra un impegno e l’altro. È infatti appena rientrata da Antibes, dove ha interpretato il Concerto op. 74 di Glière con L’Orchestre Nationale de Cannes, e ora l’attende la Rai.
La mia è principalmente una storia da solista, in cui il biennio di perfezionamento all’Accademia Teatro alla Scala si inserisce come qualcosa di nuovo. L’audizione per l’ammissione è stata proprio il mio primo concorso per un posto in orchestra: mi piacque molto, c’era una bella atmosfera e ricordo che in giuria c’era il maestro Coleman, che fu davvero felice di avermi in organico e che, successivamente, ebbi modo di conoscere e stimare durante le produzioni ballettistiche.
Ogni esperienza di vita serve per progredire e quella in Accademia mi ha sicuramente arricchito dal punto di vista musicale, perché è stata l’occasione per inquadrarmi anche in una visione differente da ciò a cui ero abituata e scoprire le bellezze del creare musica fondendosi insieme a un’intera orchestra. Dal punto di vista del repertorio, ho nutrito grande interesse per il balletto, anche considerando il fatto che, da piccola, ho studiato danza classica.
E poi, certamente, ho amato i concerti sinfonici.
Di quel periodo, quali momenti porti nel cuore?
Ricordo con particolare emozione un concerto in Oman diretto da Óliver Diaz – che è il direttore del Teatro della Zarzuela di Madrid. Il programma, dedicato alla musica spagnola, prevedeva molti soli dell’arpa, tra cui Tzigane, che ho suonato con molto piacere.
Un altro ricordo intenso è legato a una serata di beneficenza a favore della LILT, in cui Michele Mariotti ci diresse in estratti dal Romeo e Giulietta di Prokof’ev: è stato molto interessante lavorare con lui.
Sono esperienze che ti regalano momenti felici, oltre che crescita professionale, e il biennio di perfezionamento – un percorso privo di tasse di frequenza – ne prevede diverse.
Allo stesso tempo, permette di essere diretti da grandi maestri, come David Coleman, che mi piace citare per il suo approccio decisamente serio ma allo stesso tempo capace di sdrammatizzare, e di essere seguiti dalle Prime Parti del Teatro alla Scala, con cui si instaura un forte legame.
I consigli e l’amicizia di Luisa Prandina sono stati per me essenziali.
Per te si è trattato di un’esperienza intensa anche dal punto di vista logistico e organizzativo: nel frattempo, infatti, mi raccontavi che hai studiato anche in Norvegia e in Inghilterra…
Esatto. Ho frequentato il primo anno del biennio in Accademia mentre terminavo il mio percorso di studi a Oslo e, durante il secondo anno, sono stata ammessa all’Advanced Diploma alla Royal Academy of Music di Londra.
A diciannove anni, infatti, sono volata in Norvegia, alla Norges musikkhøgskole, per perfezionarmi con Isabelle Perrin, una delle migliori insegnanti di arpa al mondo. La conobbi in un concorso in Galles cinque anni prima e fu subito chiaro, per me, che mi sarebbe piaciuto studiare con lei. Sono quindi stata ammessa al programma “Artist Diploma” del Master’s degree, riservato ai tre migliori studenti dell’istituto. È qui che sono diventata professionalmente autonoma.
Terminato il periodo in Norvegia, ho vinto la borsa di studio “Bicentenary Scholarship” per studiare alla RAM di Londra, rientrando anche qui fra i quattro allievi migliori dell’accademia. Grazie a questa borsa ho avuto l’occasione di incidere, con l’etichetta discografica Linn Records, il mio album di debutto, interamente incentrato sul tema della “variazione” attraverso un excursus stilistico che spazia da Bach a Salzedo.
Facciamo un passo indietro: chi ti ha instillato l’amore per la musica, in particolare per l’arpa, e quali passi ti hanno condotta nella classe di Isabelle Perrin?
Non sono figlia d’arte; però, sin dall’età di cinque anni, sono stata circondata dalla musica di mia sorella, che aveva appena intrapreso lo studio del pianoforte, strumento in cui si è poi diplomata.
Due anni più tardi, assistetti a un concerto in cui ascoltai e vidi l’arpa per la prima volta e fu amore a prima vista per questo strumento meraviglioso dal suono avvolgente.
I miei genitori mi chiesero, così, se volessi studiare musica, proponendomi anche il violino come alternativa all’arpa. Ma io ero certa al cento per cento di quello che avrei scelto.
A otto anni circa cominciai, quindi, a prendere delle lezioni private di arpa con un’allieva del Conservatorio di Monopoli e un anno dopo fui ammessa nello stesso Istituto.
Lì ho frequentato il corso del vecchio ordinamento, strutturato in nove anni, che però io sono riuscita a completare in soli sei: ho infatti sostenuto il compimento inferiore a quattordici anni e il Diploma l’anno successivo. Ho poi proseguito con il Diploma accademico di Secondo livello, conseguito due anni dopo.
A partire dai dodici anni, quando ho iniziato a tenere i primi concerti solistici in Italia e all’estero e a partecipare ai primi concorsi, ho avuto modo di confrontarmi con altri musicisti, provenienti da ogni parte del mondo, e i riscontri che ricevevo erano tutti concordi nell’attribuirmi una marcia in più. Non mi sono mai adagiata, però: piuttosto, questi giudizi favorevoli mi hanno spinta a perfezionarmi sempre di più.
E infatti abbandoni l’Italia, ma per rimanere sempre “fra i banchi di scuola”. Raccontaci!
Sì, a diciotto anni ho intrapreso la mia avventura di studio al Koninklijk Conservatorium di Bruxelles, sotto la guida di Jana Boušková, per poi continuare con Isabelle Perrin a Oslo. Come già raccontato, però, non si tratta della mia prima esperienza in un contesto internazionale.
Abbiamo chiuso il cerchio: siamo tornati quindi a Oslo, alla RAM e poi al biennio all’Accademia Teatro alla Scala, che hai terminato poco prima che scoppiasse la pandemia.
Come hai vissuto questa nuova sfida?
Per combinazione, terminata l’Accademia sono tornata a casa, a Noci in Puglia, dopo sei anni di assenza. Ho vissuto dunque in famiglia il periodo del Covid. Avevo, in ogni caso, già deciso di dedicarmi completamente all’attività solistica e di tentare l’International Harp Contest in Israele, il più importante concorso per arpa al mondo.
La pandemia non ha reso, però, le cose semplici, poiché mi è mancato molto il contatto con il pubblico – lascio immaginare quanto sia stato complicato prepararsi per un concorso di tale portata, non avendo avuto praticamente alcuna possibilità di tenere performances dal vivo. È estremamente facile perdere l’abitudine di suonare in pubblico, anche per coloro che lo fanno abitualmente.
Pensavi già da tempo, a questo concorso, o l’idea è maturata solo poco prima?
Nel 2016 sono arrivata in semifinale allo USA International Harp Competition di Bloomington, competizione di livello simile, classificandomi quinta. Decidere di prepararmi nuovamente per un concorso del genere, con tutto ciò che esso esige e comporta, non è stato immediato, ma nel mio profondo sentivo di potercela fare.
Fondamentale è stato anche il prezioso suggerimento di Luisa Prandina, che mi ha spronato a provarlo senza riserve, nonostante fossi già in ritardo di un anno dalla data di uscita del repertorio.
Durante il periodo di preparazione ho trovato il mio mentore in Stephen Fitzpatrick, frequentando un corso di Postgraduate al Mozarteum di Salisburgo. È lui che mi ha seguito in questa splendida avventura.
Parliamo un po’ del concorso, il premio più prestigioso per un arpista.
Come si è svolto, in piena pandemia?
Si tratta di una competizione a cadenza triennale, fondata a Gerusalemme nel 1959, e si articola in quattro prove particolarmente intense, di cui le prime due prevedono l’esecuzione di un repertorio solistico – includendo anche un brano contemporaneo scritto appositamente per il concorso – mentre le altre due comprendono delle performances di musica da camera e un concerto per solista e orchestra. Inoltre, è anche richiesta una preselezione video.
Questa ventunesima edizione si è configurata come un vero e proprio torneo, in quanto, a causa della pandemia, le misure restrittive adottate dallo Stato di Israele hanno più volte negato l’accesso nel Paese agli stranieri. Ragion per cui, il comitato del concorso è stato costretto a rinviare per ben quattro volte lo svolgimento di semifinali e finali, che infine si sono tenute ad Akko durante l’ultima settimana di marzo 2022.
Tutto ciò è stato fonte di stress per tutti. Io, per esempio, non sono mai riuscita a provare interamente il Concerto di Glière della prova finale con un’orchestra, prima del concorso. Perciò, la mia prima performance con l’orchestra è stata “in diretta”, davanti alla giuria, con la Jerusalem Symphony Orchestra e la bacchetta di Doron Salomon, nella sala gremita dell’Auditorium di Akko.
Nonostante tutto, mi dicevi che in questa edizione si è registrato il numero più alto di partecipanti.
È vero, sono pervenute 63 iscrizioni da 25 Paesi diversi. Ci siamo presentati in quarantanove e solo in nove siamo stati ammessi alla semifinale. In finale, oltre all’Italia rappresentata da me, sono arrivati anche Germania e Portogallo. Per chi lo desiderasse, è possibile rivedere ogni fase del concorso, pubblicata sui canali ufficiali della competizione.
Tanti talenti in gara, ma una sola vincitrice.
Che effetto ti ha fatto e quale premio hai ottenuto?
Vincere un concorso come questo è un po’ il sogno di ogni musicista. È chiaro quindi che, nel momento in cui ho sentito pronunciare il mio nome, mi sia sentita alquanto “stordita” dall’emozione, considerando anche il fatto che mi sono trovata a competere con un livello altissimo.
Essendo stata l’ultima a suonare, ho avuto solo un breve lasso di tempo prima che annunciassero il vincitore. Ricordo bene di aver chiacchierato simpaticamente con una delle altre due finaliste e poi, nel momento in cui ha avuto inizio la cerimonia di premiazione e il presentatore ha cominciato a parlare, la tensione è salita alle stelle fino ad arrivare all’incontenibile gioia finale.
Provo una grande felicità e soddisfazione nel poter realizzare che i tanti anni di duro lavoro e rinunce siano stati ricompensati, sia per me sia per la mia famiglia, il cui sostegno è stato da sempre essenziale.
Per quanto riguarda il premio, si tratta della vincita di uno strumento di pregio del valore di 55.000 dollari, che devo ancora andare a scegliere. Considerando che il costo di una buona arpa Gran Concerto si aggira sui 25mila dollari, viene da sé capire di che si tratta. Oltre a questo, ho vinto anche una serie di concerti in tutto il mondo, fra cui una tournée nel nostro Paese con la Gioventù Musicale d’Italia.
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A proposito di arpa, con quale strumento hai preparato il concorso?
Essendo un’arpista, mi capita sempre di suonare su molti strumenti diversi dal mio – che, in ogni caso, è un’arpa Gran Concerto basica. Ora, la possibilità di ottenerne uno nuovo di alto livello, come anticipato, è una grande fortuna se si considera che l’arpa, come il pianoforte e altri strumenti, perde valore col passare del tempo.
Hai parlato più volte del rapporto con il pubblico: per te è un punto di riferimento essenziale.
La musica è un linguaggio universale e amo il suo modo diretto di comunicare, senza filtri o barriere. Il mio scopo è quello di portare l’arte in giro per il mondo e cercare di trasmettere alla gente le emozioni e i sentimenti che più desiderano. Un pubblico entusiasta è sicuramente una grande gratificazione per me!
Claudia, sembra che tu abbia già tagliato tutti i traguardi. Quali sogni accarezzi per il futuro?
Beh, la Scala resta ovviamente un grande sogno, mi piacerebbe davvero suonare come solista al Piermarini. E sogno anche un concerto con i Berliner!
L’arpa purtroppo è un po’ “fuori dal giro”: andrebbe inserita maggiormente nelle più prestigiose stagioni concertistiche del mondo, tenendo conto della risposta entusiastica che riesce sempre a ottenere dal pubblico.
Mi attira molto anche la vita da Recording Artist, dopo la felice esperienza del mio primo album!
E se non fossi diventata un’arpista?
Non saprei, è davvero difficile a dirsi. Ma mi appassiona molto l’astrofisica, che ho scoperto da poco. Seguo dei video divulgativi su YouTube; oggigiorno, il web offre davvero di tutto e bisogna saper cercare, ma è possibile seguire contenuti di grande spessore culturale.