A una settimana dalla chiusura delle iscrizioni alla prima sessione di selezioni per il Corso di diploma accademico in danza classica a indirizzo tecnico-didattico - il percorso triennale offerto dall'Accademia e riconosciuto dal MUR - proponiamo qualche riflessione dell'ex allieva Armela Meti per la Hall of Fame degli ex allievi.
Armela, ti sei diplomata in Scuola di Ballo e recentemente hai concluso con il massimo dei voti il percorso triennale AFAM. Quando hai realizzato di voler diventare insegnante?
Dedicarsi all'insegnamento è senza dubbio una scelta che nasce da un’esigenza personale e autenticamente altruista.
A dire il vero non posso individuare il momento preciso di questa mia decisione, né considerarla la conseguenza spontanea di un’inclinazione che sentivo già da bambina. Il mio rapporto con la danza ha trascorso un momento difficile dopo il Diploma del 2016. Cinque giorni prima degli esami finali ho subito un grave infortunio alla caviglia e per problematiche relative alla documentazione - ai tempi avevo ancora la cittadinanza albanese - non ho potuto accedere alle audizioni indette dalle diverse compagnie per lavorare come danzatrice professionista.
La disillusione di quel periodo mi aveva fatto credere di voler cambiare strada, ma non potevo immaginarmi in un ambiente diverso da quello della danza. Il mio ritorno in sala, inizialmente, mi ha vista affiancare le insegnanti della mia primissima scuola a Mondovì, assistendole durante le loro lezioni.
Questo “nuovo” punto di vista mi ha permesso di guardare alla danza con occhi diversi, suscitando in me l’esigenza di tornare in Scuola di Ballo con una prospettiva rinnovata.
Le audizioni per la prima edizione del triennio AFAM mi hanno convinta a rimettermi in gioco, con obiettivi nuovi ma con la stessa dedizione che mi aveva portato a diplomarmi qualche anno fa. Insegnare è una consapevolezza che ho maturato lungo il mio percorso, una scelta che torno a ripetere ogni giorno: oggi, quando entro in sala danza e guardo i miei allievi alla sbarra, sento di aver trovato il mio posto.
Qual è il ricordo più indimenticabile del tuo periodo in Accademia?
Dopo gli otto anni complessivi che ho vissuto in Accademia, è difficile sceglierne uno soltanto…
Un ricordo che custodisco con molto affetto, forse quello più bello, è la mia prima lezione di danza con Paola Vismara in sala Nureyev. Non dimenticherò mai l’adrenalina di quel giorno e l’emozione che ho provato quando, mettendo in pratica le sue correzioni, sentii la Maestra dirmi: “Bene, Armela!”. Quel momento affiora oggi con una consapevolezza diversa: mi rendo conto di quanto sia determinante il ruolo del maestro nel percorso di formazione di un ballerino.
Voglio essere una figura di riferimento per i miei allievi, far loro da guida e motivarli, potendo così contribuire - anche solo in piccola parte - alla loro crescita professionale e personale.
Durante il percorso didattico è cambiata la tua percezione della ballerina? C’è qualcosa che ora percepisci in modo diverso?
Nel corso della formazione didattica di questi ultimi tre anni ho avuto modo di intuire, sperimentare e infine comprendere realmente quanto per un maestro sia necessario “sapere”, “saper fare” e “saper far fare”. Queste tre competenze, conseguenti e allo stesso modo interdipendenti tra loro, riassumono anche come la mia percezione della ballerina sia cambiata nel tempo. Quando sono stata ammessa in Accademia al IV corso, all’età di quattordici anni, “facevo” (probabilmente senza troppo “sapere”).
Il percorso accademico affrontato successivamente mi ha insegnato a “saper fare”, orientando la mia percezione interna a un consapevole prodotto finale tecnico ed estetico. Tornata tra i banchi di scuola tre anni fa, in un doppio ruolo di docente-allieva, ho ampliato il mio “sapere” e questo ha contribuito a migliorare il mio “saper fare”.
Nei panni di insegnante, tuttavia, quello stesso prodotto finale non è più l’espressione esterna di una competenza tecnica in prima persona, bensì un percorso mirato e didatticamente coerente, modulato dall’esterno da parte del docente: “saper far fare” è un po’ l’ingrediente segreto che fa dell’insegnante un Maestro, capace di cogliere con occhio critico anche la sfumatura più lieve per dare all’allievo gli strumenti necessari per esprimere se stesso. Questa è la prospettiva con cui oggi percepisco la ballerina.
E dopo l’Accademia? Come ti trovi a Genova?
Come spesso è accaduto nella mia vita, anche questo nuovo capitolo è iniziato in un luogo diverso da quello precedente. Dopo la discussione della tesi a Milano, un salto ad Alma dove vino i miei, giusto per fare le valigie, e sono approdata nella mia nuova città, la mia nuova casa. Ad oggi, lavorativamente parlando, sono impegnata in diverse realtà didattiche: grazie al supporto della maestra Tagliavia, ho avuto l’occasione di iniziare a lavorare in una scuola qui a Genova, in qualità di insegnante di danza classica e contemporanea; sto seguendo, inoltre, la preparazione tecnica e artistica di due atlete che gareggiano a livello agonistico, rispettivamente nelle discipline di nuoto sincronizzato e ginnastica ritmica.
A chi consiglieresti il Corso di diploma accademico in danza classica a indirizzo tecnico-didattico?
Sono tre anni impegnativi, la frequenza è totalizzante e il carico di lavoro non è da sottovalutare, ma questo corso apre la mente tanto quanto il cuore. La pienezza dei diversi insegnamenti, teorici e pratici, è in grado di ispirare e far riflettere, sotto la guida di docenti preziosi, che rendono l’esperienza formativa appagante e autentica.
Consiglio questo corso a chiunque abbia passione e voglia di mettersi in gioco, mantenendo viva la propria personalità e arricchendo con la propria persona il percorso didattico stesso.
La storia del soprano giapponese
Soprano svizzero, allieva biennio canto
Sulle punte fin da bambina