Pubblichiamo oggi una puntata speciale di Hall of Fame.
Qualche giorno fa abbiamo avuto la gioia di ritrovare un ex allievo veramente eccezionale, Jacopo Tissi, che è appena stato nominato Principal Dancer del Corpo di Ballo del Teatro Bolshoi.
In occasione della sua presenza a Milano per danzare in Bayadère al Teatro alla Scala accanto all’étoile Svetlana Zakharova, ha trovato il tempo per tornare nella “sua” Scuola di Ballo per incontrare gli allievi di oggi.
A moderare l’incontro, che ha visto la partecipazione del Direttore della Scuola Frédéric Olivieri e dei docenti Paola Vismara e Maurizio Vanadia, è stata Francesca Pedroni, regista, critico e storico della danza, nonché docente della Scuola. Anche gli allievi hanno posto diverse domande.
Francesca Pedroni: L’Accademia Teatro alla Scala ha dedicato da qualche tempo uno spazio digitale che s’intitola “Hall of fame” dedicata ai migliori ex allievi. Oggi ne abbiamo qui con noi uno straordinario, non solo perché è il primo ballerino italiano ad essere entrato in una delle compagnie di culto del balletto mondiale, ma perché ne è appena stato nominato Étoile. Ciò costituisce motivo d’orgoglio anche per la nostra scuola ed è bellissimo averlo qui alla Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala, proprio dove ha percorso tutta la sua formazione.
Ricordo molto bene quando, ancora ragazzino, abbiamo girato con te e la tua famiglia una puntata di “Talenti”, la serie televisiva prodotta da Classica HD in collaborazione con Fondazione Bracco e, in quell’occasione, girammo a casa tua, vicino a Pavia. Partiamo proprio da qui, perché sono molti i ragazzi che frequentano la Scuola di Ballo e che abitano fuori Milano, come te allora. Ho letto molte interviste in cui hai ricordato l’importanza della presenza della tua famiglia, che ti è sempre stata accanto.
Raccontaci com’è andata.
Abitavo in provincia di Pavia, quindi ho dovuto scegliere se rimanere con i miei genitori o trasferirmi. Loro si sono resi disponibili ad accompagnarmi e così sono rimasto con la mia famiglia per tutto il percorso. Ovviamente sono loro molto grato perché non è certo semplice accompagnare ogni giorno a Milano il proprio figlio, e gestire i vari impegni di lavoro e gli orari. Avere quotidianamente il loro sostegno è stato sicuramente molto importante.
Nel mio stesso corso c’erano dei ragazzi che provenivano da città molto più lontane: ricordo la loro difficoltà nel trovarsi lontani dalla famiglia in un’età così giovane, da soli. Tuttavia hanno potuto trovare nella classe delle persone che sono diventate la loro seconda famiglia. Anche per me è stato così. Stare insieme ogni giorno per otto anni non può che creare legami molti forti; è stato molto importante sostenersi a vicenda durante il percorso.
Francesca Pedroni: Tu sei stato nominato Étoile il 31 dicembre alla fine della recita di Schiaccianoci con la coreografia di Grigorovich; un titolo che tu hai danzato molto, anche quando eri in Accademia, nella versione del Maestro Olivieri. Ci vuoi raccontare che cosa rappresenta questo balletto per te, che anche per tutti i nostri allievi è sempre un appuntamento; anche quest’anno, dopo due anni, Schiaccianoci è andato in scena al Teatro Strehler.
Devo dire che Schiaccianoci è un titolo a cui sono molto legato. Allo Schiaccianoci si devono i primi ricordi di esperienze professionali in Accademia. Portarlo in scena era sempre un evento speciale, perché significava confrontarsi con il palcoscenico in età molto giovane; poter danzare a quel livello costituisce una grande opportunità perché ti permette di capire quello che sarà la quotidianità della vita professionale.
Il mio debutto in questo titolo è stato quando frequentavo il settimo corso, danzavo il passo a due del secondo atto. All’ottavo corso ho avuto occasione di ballarlo anche in altre versioni. Ed ora al Bolshoi, quella di Grigorovich. Bellissimo.
Frédéric Olivieri: La nomina è avvenuta dopo lo spettacolo con tutta la compagnia presente?
Non erano tutti presenti, anche perché si trattava di uno spettacolo serale, ma mi ha riempito di gioia la presenza dei miei genitori: l’ho sempre sperato e ne sono stato veramente felice.
Paola Vismara. Era nell’aria o è stata una sorpresa?
Effettivamente era un po’ nell’aria, sapevo che quel giorno avrebbe potuto rivelarsi decisivo perché a Mosca lo spettacolo del 31 dicembre è uno spettacolo-evento. È stata un’emozione fortissima.
Francesca Pedroni: ricordo ai ragazzi che qui in Italia il titolo di Primo ballerino corrisponde al Boshoi al titolo che avevi prima, quello di Leading Soloist, mentre il tuo titolo attuale, Principal Dancer, corrisponde al nostro étoile.
Oggi torni alla Scala per danzare in Bayadère nel ruolo di Solor al fianco di Svetlana Zakharova, Étoile del Bolshoi e del Teatro alla Scala. La prima volta che hai danzato con lei è stato proprio qui alla Scala per La bella Addormentata. Poi, l’hai ritrovata al Bolshoi. Su Instagram hai pubblicato dei video in cui ti diverti con lei a fare dei balletti spiritosi.
Com’è Svetlana Zakharova? Raccontaci un po’ di lei.
Ho incontrato Svetlana per la prima volta nel 2015, quando ho danzato con lei ne La bella addormentata. È stata un’occasione importantissima per me poter danzare con un’artista del suo calibro. Ritrovarla al Bolshoi è stato un onore e una gioia immensa. Abbiamo ballato spesso insieme, in titoli del grande repertorio, ma anche in nuove coreografie. È una figura fondamentale nel mio percorso di crescita professionale e umano: non è solo una bravissima ballerina, una grandissima professionista, dotata di un talento enorme, unico. È una persona che rappresenta un vero esempio su come ti devi approcciare al lavoro: con un rigore e un impegno quotidiano alla ricerca della perfezione. E poi c’è il lato umano, è subentrata ormai l’amicizia, cosa che mi dà tantissimo.
Francesca Pedroni: com’è stato il tuo percorso dal 2017 in Russia?
L’inizio non è stato facile, perché la Russia è un Paese molto diverso dal nostro. Conoscevo un po’ la lingua russa, ma non al livello che mi permettesse di parlare fluentemente. Entrare in quel teatro che è il tempio del balletto, iniziare in qualche modo da zero un nuovo percorso non è stato semplice, eppure è stato stimolante. L’entusiasmo di essere arrivato lì, la voglia di intraprendere una nuova vita proprio in quel teatro mi hanno aiutato molto.
Olivieri: Come ti fa sentire ritrovarti qui in Scuola di Ballo dopo un po’ di anni?
È bello, ci sono un sacco di ricordi, diversi momenti, sin dal primo corso e poi la crescita, il diploma, gli spettacoli, è una bella emozione.
Allieva: Quali differenze hai riscontrato a livello tecnico-artistico rispetto alla Scuola in Accademia?
Dopo la scuola, quando si arriva in teatro si continua a crescere, ad imparare e lavorare ogni giorno. In realtà è un lavoro che non finisce mai. In Russia si danza un repertorio di un certo tipo, c’è uno stile piuttosto marcato ed il sistema è molto funzionale: sono molti i maestri che sono stati primi ballerini della compagnia. Vi è proprio un passaggio di testimone, una tradizione che continua e si tramanda di generazione in generazione. Quando sono entrato in Compagnia ho lavorato molto, ho avuto ben dieci debutti nella prima stagione, ero sempre in sala a lavorare sia a livello artistico sia a livello tecnico ed appunto ad assorbire e confrontarmi con questo stile, che è un vero “marchio di fabbrica” del teatro.
Francesca Pedroni: Visto che siamo entrati in questo filone più tecnico, ti volevo chiedere questo. Sei qui per ballare Bayadère nella versione di Nureyev, titolo che ballasti anche nel 2018 sempre con la compagnia del Bolshoi, ma nella versione di Grigorovich. Oggi torni con la stessa compagnia e con Svetlana che è un po’ il nostro ponte tra Bolshoi e Scala.
Quali sono le differenze sostanziali, che cosa – come protagonista – senti di differente nello stile, nella tecnica oltre che nella struttura generale del balletto?
A livello di disegno coreografico, Nureyev ha tenuto fede alla coreografia di Petipa, quindi alla versione originale di San Pietroburgo; tuttavia il tocco della sua coreografia è evidente in tante combinazioni di passi. Nelle variazioni ci sono molti passi, ad ogni nota corrisponde un passo, un movimento, con delle combinazioni molto fitte. Credo che questo suo rendere la coreografia complicata fosse il suo modo per esprimere le emozioni e anche la condizione di un certo tipo di danza, dove, appunto, ogni singola nota è riempita da un movimento. Nella sua versione ha accentuato molto l’ambientazione orientale, anche per quanto riguarda i costumi. Nureyev aveva un gusto e una predilezione particolari per i costumi, credo che l’aver accentuato questo carattere della Bayadère sia un valore aggiunto.
Francesca Pedroni: La variazione di Solor, prima del Regno delle ombre, è molto bella….
Nella versione di Grigorovich questa entrata, che si trova all’inizio dell’atto, è diversa, è più attoriale, ha meno combinazioni di passi. Invece in quella di Nureyev, dalla prima entrata è tutta una variazione fino alla fine.
Francesca Pedroni: Attraverso questi passi, nota su nota, attraverso una coreografia estremamente danzata, più di altre, racconti l’anima del personaggio. Nel Regno delle ombre, arriva quel momento difficilissimo del velo. Quali sono le differenze fra le coreografie che hai danzato?
Nella versione di Nureyev, anche Solor interpreta la prima parte della variazione insieme a Nikiya, diversamente da quello che accade nella versione di Grigorovich. La variazione con il velo è sicuramente molto difficile. Bisogna calcolare bene il tempo, si deve prestare molta attenzione alla coordinazione, che richiede grande precisione in ogni momento: come si deve tenere il velo, quale la giusta distanza, fare in modo che per la ballerina sia comodo farlo volteggiare. In genere, questi sono passi che si studiano a fondo e necessitano di un esercizio più impegnativo.
Allievo: come ha vissuto il periodo di lockdown e poi la ripresa?
Quando il mondo si è fermato, fra febbraio e marzo del 2020, è stato veramente uno shock: abituato all’esercizio quotidiano, al movimento costante, fermarsi improvvisamente non è stato facile. Dopo i primi giorni di smarrimento, ho compreso che avrei potuto anche dedicarmi a qualcos’altro, allargando i miei interessi. Devo dire che, comunque, per fortuna, a Mosca il lockdown non è durato moltissimo e abbiamo potuto tornare presto ad esibirci sul palcoscenico. In questo siamo stati molto fortunati.
Allieva: qual è stata la più grande difficoltà che ha riscontrato nel passaggio dall’Accademia al teatro?
Il passaggio si avverte, anche se la giornata inizia sempre con la sbarra. Si entra in un sistema diverso e la giornata è scandita da impegni, da un rapporto diverso con i maître. Ci sono delle nuove responsabilità, il palcoscenico, il nuovo sistema, incontrare nuove persone… Io sono sempre stato entusiasta di affrontare un cambiamento e anche di voler cominciare a lavorare su cose nuove; sono sempre stato pronto a incominciare qualcosa di nuovo, pertanto non ho riscontrato particolari difficoltà.
Paola Vismara: Dal punto di vista tecnico o di preparazione personale, hai trovato delle difficoltà o è stato molto semplice per te, anche l’inserimento in compagnia, ti sei sentito subito sicuro nell’affrontare questo percorso?
Quando arrivi in compagnia inizi ad impostare un importante lavoro di autodisciplina – anche se a Mosca per dei ruoli precisi c’è proprio una persona che ti segue – in cui cominci a crescere e a camminare da solo. Si diventa progressivamente più consapevoli del proprio corpo e di come determinare ed organizzare le proprie energie, su che cosa focalizzarsi e come confrontarsi coi colleghi.
Ed è fondamentale fare questo percorso in autonomia, per capire dove stai andando e come stai avanzando. Per un ballerino, il tempo è la cosa più preziosa. Quindi bisogna sfruttare al massimo ogni momento di uno spettacolo, di un ruolo. Per continuare a crescere. Del resto, insieme a te molti altri colleghi della compagnia nutrono le stesse tue aspirazioni. Bisogna essere determinati.
Paola Vismara: la caratteristica più importante per poter fare tutto questo?
Ogni artista, ogni ballerino è diverso, alcuni già presentano delle qualità fisiche specifiche, magari dall’inizio, altri le sviluppano nel tempo, ma a parte le doti tecniche ci sono delle capacità interiori da sviluppare, che sono molto utili quando si incomincia a lavorare. È anche un fattore di testa, essere consapevoli del proprio lavoro, di quello che si sta affrontando, comprendere l’importanza di far crescere costantemente il proprio livello professionale. Senza contare il carattere: è fondamentale farlo maturare, nel senso buono.
Francesca Pedroni: Tu hai anche danzato nuovi ruoli, penso al personaggio di Erik Bruhn nel balletto dedicato a Nureyev, “Boy” Capel nel balletto dedicato a Coco Chanel, Vronskij nell’Anna Karenina con la coreografia di Neumeier. Quanto ogni ruolo ti ha messo in gioco, anche quello più lontano da te che però ti ha dato qualcosa? Hai scoperto qualcosa di nuovo attraverso dei ruoli che non pensavi di danzare?
Diciamo che andando avanti nella carriera, ogni ballerino sente di appartenere più a una categoria di personaggi rispetto a un’altra, magari si sente più vicino a un ruolo più lirico o eroico o di carattere. Capita, tuttavia, di dover affrontare qualcosa che non ci si aspettava o che non si pensava si sarebbe mai dovuto o potuto affrontare, qualcosa che ha una nota diversa. In questo caso, non appena inizi a lavorare e ad entrare in un nuovo personaggio, ti accorgi che ti appartiene sempre di più e capisci che può aggiungere qualcosa di nuovo al tuo bagaglio artistico, aiutando la tua crescita.
Quando ci si avvicina a dei ruoli iconici come quello di Erik Bruhn, è fondamentale studiare, informarsi, leggere. Oggi, grazie alla rete, si possono vedere video, documentari, fotografie, leggere molti documenti e testimonianze. Tutto ciò non fa altro che alimentare conoscenza ed ispirazione. Anche l’arte in generale: un quadro o una statua che ha una posa particolare può diventare un oggetto di ispirazione personale per qualcosa, farsi un bagaglio più ampio aiuta ad ampliare la conoscenza in altri ambiti.
Allievo: a proposito di arti in generale (come la pittura, la fotografia), secondo lei la danza in che cosa si differenzia rispetto alle altre? c’è qualcosa in particolare che le ha fatto scegliere la danza?
La danza assomma in sé molte cose, poiché unisce movimento, armonia, musica in un insieme in cui tutto dialoga in un equilibrio armonico e virtuoso. La danza ti permette di diventare un’altra persona e di interpretare storie sempre diverse, e anche se ti impone alcune regole ben precise, date dal suo stesso codice, ti dà la possibilità di esprimere la tua artisticità attraverso l’interpretazione dei vari personaggi, ti permette di misurarti con te stesso. E poi la danza significa l’atmosfera del palcoscenico. Qualcosa di veramente unico.
Paola Vismara: quale consiglio potresti dare ai ragazzi che si stanno per diplomare?
Credo che sia importante ascoltare i maestri, riuscire a cogliere il massimo da ogni consiglio, correzione. È ciò che accade anche nella vita professionale: quando si lavora con un coreografo, con un maître, è fondamentale carpire ogni dettaglio, per poter crescere e migliorare. Inoltre credo che sia sostanziale darsi degli obiettivi concreti e precisi, anche piccoli, quotidiani: “quella variazione in quel punto domani la devo eseguire perfettamente” e così via. Solo così si può crescere come artista, continuando ad ampliare il proprio bagaglio di conoscenze, in tutte le direzioni.
Andrea (allievo): secondo lei qual è stato l’insegnamento più grande che ha appreso durante il suo periodo di studi con il maestro Vanadia?
Il maestro Vanadia ci ha costantemente spinto ad eseguire passi sempre più difficili, facendoci affrontare cose che ci sembravano impossibili, troppo lontane da noi. Ciò ci ha sempre dato un entusiasmo in più ed avere potuto interpretare in età così giovane un repertorio impegnativo con delle combinazioni difficili, mettendoci in gioco ogni giorno, non ha fatto che renderci più sicuri e consapevoli.
Olivieri: Una nota di colore. Ricordo che eri bravissimo ad imitare i tuoi maestri
Ammetto le mie colpe! Ho osato imitare anche lei, Maestro, ma solo all’ultimo anno, dopo il diploma.
Francesca Pedroni ringrazia Jacopo per il bellissimo incontro e i ragazzi. Conclude il Maestro Olivieri: Ricordo Jacopo quando era ancora bambino. A lezione si vedeva già il suo talento, quella fiamma in più, una scintilla che fa la differenza.
Una fiamma che alcuni sviluppano subito, altri dopo.
Vi prego di fare tesoro, ragazzi, delle parole di Jacopo, così acute e profonde. Sono parole di un ragazzo che nonostante i traguardi straordinari già conquistati, mantiene un rigore e un’umiltà che lo rendono veramente speciale. In questi giorni aveva veramente poco tempo, eppure, l’ho chiamato ed ha subito dato la propria disponibilità per essere qui con noi oggi: ciò significa che il nostro legame non finirà mai e di questo sono molto felice e lo ringrazio.
In bocca al lupo, Jacopo!
Immagine header: Jacopo Tissi ed Elena Bottaro ne La bella addormentata, Gala per i 200 anni della Scuola di Ballo, Teatro alla Scala – ph. Lidia Crisafulli © Accademia Teatro alla Scala
Immagine interna: Jacopo Tissi in Paquita, Piccolo Teatro Strehler – ph. Clarissa Lapolla © Accademia Teatro alla Scala