Continuano gli incontri con i nostri allievi dell’Accademia di canto, prossimi al diploma.
Quando hai iniziato a studiare canto e com’è nato il tuo amore per la musica?
Premetto che il mio nome è Chi Hoon Lee, ma da quando vivo in Italia ho scelto di farmi chiamare più semplicemente Ettore, per rendere omaggio al celebre baritono Ettore Bastianini. Sono nato in Corea del Sud 21 anni fa e ho iniziato a studiare canto lirico all’età di 15 anni.
I miei genitori hanno un ristorante e le uniche lezioni di musica che avevo seguito da bambino erano quelle previste nel programma della mia scuola. Un giorno, ho dovuto sostenere una verifica di musica che prevedeva l’esecuzione in classe di una canzone della tradizione coreana.
Il mio docente di allora, che aveva studiato a sua volta canto lirico in Italia, appena mi sentii cantare mi disse che dovevo assolutamente iniziare a prendere lezioni private. Così tornai a casa e ne parlai con i miei genitori. Mio padre ne fu particolarmente felice, anche lui sognava di fare il cantante lirico da ragazzo, e così tutto ebbe inizio.
Raccontaci il tuo percorso.
Ho studiato come tenore per 8 anni. A 21 anni sono partito per il servizio militare, che in Corea è obbligatorio e dura due anni. Durante questo periodo, ho continuato a cantare, esibendomi nelle varie parate e nell’ambito degli eventi ufficiali dell’esercito.
Ho sottoposto la voce a un notevole stress. Mi sono ammalato spesso e temo di non essere stato curato in modo adeguato. Ad ogni modo, concluso il servizio militare, il mio insegnante di canto mi ha consigliato di cambiare registro vocale, in quanto la mia voce ormai si adattava meglio a ruoli di basso-baritono.
Perché hai scelto l’Italia per proseguire il tuo percorso?
Prima di arrivare nel vostro Paese avevo già debuttato in due ruoli molto importanti in Corea: come Schaunard ne La Bohème in scena presso il Goyang Aramnuri Art Center, nel 2015, e nel ruolo del Conte d’Almaviva ne Le nozze di Figaro, in scena al Mapo Art Center, nel 2016. Tuttavia, il mio sogno è sempre stato quello di venire in Italia.
Quando ero uno studente del liceo, a 17 anni, scrissi su un foglio i miei sogni nel cassetto: “studiare all’Accademia Teatro alla Scala.” Così, nel 2018 sono venuto in Italia per studiare al Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, dove sono rimasto un anno.
La mia docente di canto, il mezzosoprano Rosa Maria Orani, mi ha aiutato moltissimo e, quando le ho comunicato di voler partecipare al concorso per l’ammissione all’Accademia, mi ha sostenuto e spronato, rassicurandomi sul fatto che io avessi tutte le carte in regola per affrontare tale sfida. Non è stata smentita. Feci il concorso e venni ammesso per il biennio 2019-2021.
Qual è il tuo ruolo preferito e l’aria che ami di più interpretare?
Adoro Rigoletto, opera nella quale mi ero già cimentato nel 2018 presso la Palazzina Liberty di Milano e l’anno successivo presso il Parco di Pietra presso Cava Roselle in provincia di Grosseto. Adoro cantare l’aria “Cortigiani, vil razza dannata”, una delle arie più famose dell’opera, che mi piace soprattutto per l’intensità interpretativa che richiede. È il momento in cui la commedia si trasforma in tragedia: Rigoletto vuole entrare nella camera del Duca, ma i cortigiani lo bloccano e lui canta questa famosissima aria in cui li chiama razza, cioè gruppo vile, senza valori e senza coraggio, e dannata, perché merita di essere mandata all’inferno, esprimendo un crescendo di rabbia e forza allo stesso tempo.
La prima volta che l’ho cantata, ho pianto sul palco.
Raccontaci del tuo percorso in Accademia a Milano
Tutti i miei amici e colleghi mi avevano consigliato di portare un’aria di Rossini al concorso per l’Accademia, ma io decisi invece per il repertorio verdiano e per la fase finale portai proprio “Cortigiani, vil razza dannata”.
Provai una fortissima emozione quel giorno, era la prima volta che salivo sul palco del Teatro alla Scala. Un sogno che stava per realizzarsi. Non ricordo come cantai…ma, forse, visto che mi trovo qui oggi, non devo aver cantato male!
Ricordo ancora il primo giorno in Accademia: aprii la porta della sala dove si sarebbe svolta la lezione e tutti i colleghi mi vennero incontro presentandosi e salutandomi. Quei ragazzi, con il passare del tempo, sono diventati la mia famiglia italiana. Rammento, in particolare, le prime lezioni di gruppo. Ero timidissimo e molto insicuro; ricordo che quando Luciana D’Intino, responsabile didattico dell’Accademia di canto, chiedeva chi volesse esibirsi per primo… io arrivavo sempre per ultimo. Devo dire che ho ricevuto un supporto straordinario sia dai docenti sia dallo staff del corso che mi hanno sempre seguito, aiutandomi a sconfiggere la mia insicurezza. Oggi mi sento un uomo diverso.
Luciana D’Intino, un’insegnante davvero speciale
In Corea credo di avere sviluppato bene la tecnica vocale, ma non ho mai approfondito lo studio del ruolo, dello spartito e la gestualità corporea.
Il periodo di studi in Accademia mi ha permesso di comprendere in modo profondo che cosa debba trasmettere un determinato personaggio al pubblico, quali sentimenti. La signora D’Intino un giorno mi ha detto: “Ricordati che devi sempre cantare col cuore, devi far capire al tuo pubblico quello che il personaggio sta provando in quel preciso momento”.
L’Accademia mi ha insegnato davvero tantissimo, non solo la tecnica.
In giro per il mondo con l’Accademia
Devo dire che l’Accademia ci offre molte opportunità per metterci alla prova sul palcoscenico, non solo in Italia.
Ricordo, in particolare, una trasferta in Russia, nel 2019. Ci siamo esibiti con i “colleghi” dell’Accademia di canto del Bolshoi presso la Zaryadye Hall. Ero molto preoccupato perché conoscevo la loro scuola e il livello dei solisti. Come sempre, temevo di non essere all’altezza. E invece, il calore del pubblico mi ha dato una grande forza.
Ho interpretato un’aria come solista e un duetto con uno degli allievi russi: un ragazzo con caratteristiche molto diverse dalle mie, ma la musica ci ha unito.
Com’è il tuo rapporto col pubblico adesso?
Ho bisogno di imparare meglio la lingua italiana, questo sicuramente. Quando mi esibisco non penso solo alla tecnica, ma anche all’interpretazione. Cerco il pubblico con lo sguardo per carpirne le reazioni.
Ti abbiamo ascoltato recentemente nell’aria Si mes vers avaient des ailes nel concerto “Alla francese”, nell’ambito del progetto curato da Alexandre Dratwicki. Com’è andata quest’esperienza?
Un’aria stupenda. Un vero dono d’amore per la propria amata, intenso, coinvolgente. Non potevo che dedicarlo alla mia fidanzata.
Sei appena stato a Parigi e ad Avignone per due concerti verdiani che hanno riscosso un grandissimo successo. Come ti concentri prima di un’esibizione?
È stato veramente entusiasmante poter cantare davanti al pubblico, tornato finalmente a occupare le sale. La concentrazione è fondamentale prima di un’esibizione. Nel caso di Avignone, ho potuto passeggiare in un parco e, immergendomi nella natura, svuotare la mente, distendermi. Devo dire che il contatto con la natura mi aiuta tantissimo.