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  • Clelia Romagnoli, borsista del Corso di sartoria teatrale

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    accademia di canto lirico solisti 2022
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    sede ell'accademia in via santa marta a milano
    Al via gli open day in presenza

    Clelia Romagnoli ha 26 anni ed è originaria di Cremona. Nata in una famiglia dove ha sempre respirato arte e cultura, ha trovato nel Corso di sartoria teatrale uno sbocco naturale alle sue inclinazioni.

    L’assegnazione della borsa di studio le ha permesso di coltivare la sua passione, nata quando era solo una bambina, grazie a un piccolo ditale regalatole dalla nonna.

    Leggi con noi la sua storia.

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    Clelia, sei nata in un contesto familiare che ti ha permesso di conoscere ben presto l’arte della sartoria.

    È vero. Mia madre, alla mia stessa età, a 26 anni, faceva la sarta nei villaggi turistici dove si occupava della confezione dei costumi dei vari spettacoli. Doveva confezionarne molti in poco tempo. Per lei una vera palestra. Mia nonna insieme a sua sorella avevano un atelier di abiti da matrimonio, mentre delle prozie avevano una modisteria. Insomma, credo proprio di avere del filo nelle vene! Sin da bambina, il mio desiderio era quello di lavorare nel mondo del teatro. Mi affascinava l’idea di dare vita a dei personaggi. Avevo già in mente fantasiosi progetti di costume. Così a soli 5 anni, ho chiesto a mia nonna di insegnarmi i primi rudimenti del cucito. E da lì è iniziato tutto.

     

    Immagino che i tuoi studi si siano orientati verso un ambito artistico, di conseguenza.

    Esatto. Ho frequentato il liceo artistico con indirizzo “Accademia”, dove ho imparato diverse tecniche pittoriche, ritraendo per esempio dal vero dei modelli per restituire al meglio le volumetrie del corpo. Quindi mi sono iscritta all’Accademia di Belle Arti, indirizzo scenografia, ma ho abbandonato. Ho deciso di aprire un mio piccolo laboratorio, dove ho iniziato a lavorare come revocatrice storica, realizzando, in particolare, abiti storici medievali. Il tutto come autodidatta, studiando, leggendo e facendo tanta pratica. E poi è arrivata l’Accademia…

     

    Raccontami come hai scoperto il corso.

    Parliamo dell’estate 2021. Nella settimana in cui cadeva il mio compleanno ho scoperto dell’esistenza di questo corso. Volevo fermamente dare un senso al mio futuro ed ecco che il futuro mi bussa alla porta! Ho visitato la pagina del sito dedicata al corso e l’elenco delle materie mi ha colpito immediatamente. Ho avuto proprio l’impressione che sarebbe stata la scelta giusta per l’ampiezza della proposta didattica, per il cospicuo numero delle ore. E, ovviamente, il prestigio del nome Scala ha influito non poco.

    Mi sono iscritta alle selezioni ed oggi eccomi qui.

     

    Mi incuriosisce molto questa tua passione per la rievocazione storica.

    Per me ricostruire un costume storico significa riportare in vita la storia. È una cosa che mi affascina profondamente. E devo dire che sono decisamente filologica nella mia passione. I bottoni che nel Medioevo venivano ricoperti di tessuto venivano realizzati con dei noccioli di ciliegie. Ebbene, io li realizzo esattamente nello stesso modo.

     

    In Accademia i costumi storici come vengono realizzati?

    I costumi sicuramente vengono realizzati con grande rigore filologico, ma sono anche funzionali allo scopo per cui vengono confezionati e cioè lo spettacolo. Gli artisti che li indossano devono sentirsi a proprio agio, devono potersi muovere facilmente, respirare bene.

     

    Qual è il tessuto con cui ritieni sia più facile lavorare?

    La tela.

     

    E il più difficile?

    Sicuramente il broccato e il velluto.

     

    Quello che ami di più?

    Nessun dubbio, il velluto. Del resto, io amo le sfide.

     

    Il tuo colore?

    Il viola.

     

    Come il viola?

    Lo so, è curioso da parte di chi sogna di lavorare nello spettacolo. Amo anche diverse nuances del verde, però, come il verde smeraldo o il bordeaux.

     

     

    Attraverso un costume si costruisce un personaggio. Che cosa significa per un sarto tradurre l’idea di un costumista? Quanto questa, a volte, può risultare impossibile da realizzare?

    L’abilità del sarto sta proprio nel rendere concreta un’idea, nel rendere funzionale un progetto di costume. Come dicevo, un artista deve sentirsi bene nel proprio costume. Pertanto è fondamentale che un sarto, pur rispettando l’idea estetica del costumista, sia in grado di realizzare un manufatto che sia il più possibile pratico per chi lo deve indossare. I sarti sono fra l’incudine e il martello, in qualche modo: se da un lato devono pensare prima di tutto alla praticità, dall’altro devono essere capaci di restituire l’emozione che deve suscitare il costume, perché il costume riflette uno stato d’animo, una particolare caratteristica del personaggio. Ma è questo il bello del nostro lavoro!

     

    Nel percorso che hai fatto finora, che cosa ti ha convinto di più? E che cosa ritieni ti potrà essere più utile per il tuo futuro?

    Devo dire che il percorso mi convince nella sua complessità e, soprattutto, nella sua evoluzione. Abbiamo iniziato con lo studio della storia del costume, per comprendere il contesto. Abbiamo acquisito competenze di tipo teorico a cui ha fatto seguito l’attività in laboratorio. Entusiasmante. Alcune materie sono particolarmente utili, come merceologia: la conoscenza dei tessuti, dei materiali risulta fondamentale per lavorare al meglio.

     

    Avete già fatto esperienza anche nella sartoria di palcoscenico? Che differenza c’è con l’attività in laboratorio?

    Sì, abbiamo lavorato dietro le quinte al Teatro Strehler in occasione dello spettacolo della Scuola di Ballo. Molto stimolante. Soprattutto perché bisogna essere sempre pronti ad intervenire sapendo mantenere il sangue freddo. Se devi intervenire con piccole riparazioni devi essere rapido ed agile. Anche nel caso dei cambi veloci.

    La differenza sostanziale rispetto al laboratorio sta nel fatto che in palcoscenico vedi la tua creazione che prende vita. È bellissimo.

     

    Com’è il rapporto con la tecnologia?

    È vero che nel corso si affina molto l’arte del cucito a mano, ma usiamo tanto anche le macchine. Devo dire che la tecnologia interviene soprattutto per la fase di ricerca. Internet permette di trovare velocemente le fonti iconografiche e di ricostruire il contesto storico, fondamentali nella sartoria teatrale.

     

    Ci sono dei costumisti che ti hanno ispirato, soprattutto nel cinema, che so essere il tuo sogno?

    Un nome su tutti Milena Canonero. Devo dire che l’idea di lavorare in una sartoria teatrale mi affascina molto, ma il pensiero di poter lavorare nell’ambito cinematografico mi esalta perché il cinema permette di far vedere i dettagli. È quello che mi entusiasma di più di quest’arte: il fatto che il mio lavoro possa essere compreso fin nel più piccolo dettaglio. A Roma, quando ho visitato il Museo di Cinecittà, dove sono esposti tantissimi costumi, non volevo più andare via.

    Mi piace però ricordare la prima volta che ho capito che avrei voluto occuparmi di sartoria teatrale, di costume. Guardando in tv l’Aida di Verdi. Non rammento che edizione fosse. So solo che rimasi folgorata, dicendo a mia madre: “nella vita desidero fare quella cosa lì”. E poi, cinematograficamente parlando, Moulin Rouge! di Baz Luhrmann. I costumi di Angus Strathie e Catherine Martin sono strepitosi, per non parlare di Gangs of New York di Martin Scorsese, con i costumi firmati da Sandy Powell.

    Ora, l’avvento delle piattaforme di streaming ha visto fiorire meravigliose serie tv in costume: penso a Downtown Abbey, Bridgerton, The Gilded Age. Sarebbe un sogno lavorare in questo campo!

     

    Quali sono le doti che deve avere un grande sarto?

    Innanzitutto la capacità di ascolto, quindi un grande occhio e poi deve essere dotato di sensibilità, della capacità di guardare un figurino e comprendere che cosa quell’abito vuole trasmettere.

     

    Secondo te questo mestiere è destinato a rimanere nel tempo?

    Credo che sia un mestiere veramente destinato a durare. Può cambiare il contesto storico, ma la confezione accurata di un abito, che evidenzia l’attenzione per il dettaglio e la cura della manifattura, sarà sempre ricercata. Nel mio piccolo, quando incontro delle persone e spiego loro che cosa faccio, anche il corso che frequento, rimangono ammaliate e mi inondano di curiosità e di domande. Pensa che mi hanno chiesto di realizzare delle gorgiere! L’alta sartoria per me è un’arte e come tale non scomparirà mai. Siamo artisti senza pennello, ma con ago e filo.

     

    Ti piace anche la progettazione o preferisci la confezione?

    Devo dire che non mi dispiace affatto l’ideazione, anzi. Anche per gli studi che ho fatto, sono abituata al disegno che pratico costantemente.

     

    Una curiosità. Qual è un sogno nel cassetto in merito alla confezione di un costume?

    Realizzare uno dei costumi del Ballo del Doge. L’idea di confezionare un abito in stile Settecento mi intriga tantissimo!

     

    Quale dote secondo te hai già acquisito durante gli studi in Accademia?

    Credo di avere affinato soprattutto la pazienza. Avevo già questa dote, ma in Accademia penso proprio di averla sviluppata.  Un tutù non lo puoi realizzare in un giorno. Quando vedi che questo prende corpo onda dopo onda, arrivi alla fine e hai veramente la sensazione di avere creato il tuo “oceano”.

     

    Che cosa ti sentiresti di consigliare a chi volesse intraprendere il tuo stesso cammino?

    Di percorrerlo con entusiasmo ed impegno. Bisogna rimboccarsi le maniche, lavorare sodo, ma dà la possibilità di imparare molte cose e dà grandissime soddisfazioni.

     

    Che cosa ha significato per te la borsa di studio?

    Tantissimo. La possibilità di essere qui, prima di tutto. E, visto che abbiamo parlato tanto di cinema, penso proprio che questa borsa di studio sia il piccolo fotogramma che mi porterà a vedere il mio personalissimo film.

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