Originario della provincia di Lecce, Andrea Cagnazzo sin da piccolo ha coltivato l’amore per la musica. Ex allievo del Corso di tecnologia del suono, ha recentemente collaborato al progetto Accademia 20×20, realizzato grazie al sostegno di Fondazione Cariplo.
Lo incontriamo per la Hall of Fame e ci racconta così la sua storia…
Com’è arrivata la musica – e in particolare il jazz – nella tua vita?
Fin dall’età di 6 anni ho preso lezioni di pianoforte. Inizialmente la musica era solo un hobby, scelto poi dai miei genitori, ma col passare del tempo mi resi conto che era diventata parte predominante della mia quotidianità. In particolare, la mia passione mutò grazie all’incontro col maestro Alessandro Casciano, pianista jazz che mi ha introdotto a questo genere e che mi ha spinto a iscrivermi al Conservatorio per studiare proprio pianoforte jazz.
Non è stata una strada facile perché c’è molta concorrenza in questo ambito e non è immediato affermarsi come professionista. Inoltre, la mia famiglia avrebbe voluto che proseguissi gli studi universitari con un altro indirizzo formativo e non che facessi della musica il mio mestiere principale. Ciò nonostante, decisi comunque di proseguire quanto intrapreso e andai a Bologna per prendere lezioni con Greg Burk, un musicista americano che insegnava presso il Conservatorio “Martini”, conosciuto durante una masterclass in Puglia. Il suo approccio alla musica mi colpì moltissimo. Il jazz mi ha fatto scoprire un mondo bellissimo: quello delle jam session, ovvero serate organizzate durante le quali alcuni musicisti si ritrovano in un locale, una piazza o un luogo predefinito per improvvisare su un tema o una composizione approssimativa. Questo tipo di eventi mi permise di suonare con professionisti di ogni livello e provenienti da ogni luogo.
Per me erano occasioni sia di divertimento sia di apprendimento. Il jazz è basato sull’improvvisazione, ma ci sono delle regole da studiare e rispettare per far si che si crei la giusta alchimia con gli altri musicisti della band. Mi piacere dire che la musica jazz è l’espressione estemporanea di noi stessi. Lo stesso brano, suonato in due momenti diversi, non sarà mai uguale alla versione precedente. Incide molto lo stato d’animo del musicista, un approccio completamente diverso dalla musica classica che si basa sulla lettura e interpretazione dello spartito.
Il 2020 è stato un anno difficile per te, ma allo stesso tempo ti ha portato a compiere una scelta decisiva. Raccontaci cos’è successo.
Quando è scoppiata la pandemia in Italia, mi trovavo a Bologna. È stato un periodo di spaesamento totale, non sapevo cosa fare della mia vita…ho persino pensato di smettere di suonare e trovare un lavoretto qualsiasi. Avevo bisogno di fermarmi un attimo, anche se la passione per la musica non si era spenta. Decisi di lasciare il Conservatorio e di provare a trovare una professione che mi portasse comunque ad aver a che fare con il suono. Cercai online e trovai così il Corso di tecnologia del suono dell’Accademia Teatro alla Scala.
Quindi da Bologna ti trasferisci a Milano per studiare in Accademia. Come hai vissuto quest’esperienza?
Mi presentai alle selezioni molto motivato, anche se in realtà ero semplicemente un musicista e di tecnologia audio non ne sapevo un granché. Penso sia stato determinante il colloquio: cercai di spiegare quanto fosse importante la musica per me e perché volessi intraprendere questo percorso. Quando mi chiamarono per comunicarmi che avevo passato le selezioni ero felicissimo!
Sono arrivato a Milano senza conoscenze né amici e la situazione sanitaria ha peggiorato tutto poiché abbiamo iniziato le lezioni a distanza, ma una volta rientrati in aula ho trovato una bellissima atmosfera e compagni di corso molto disponibili e collaborativi.
Eravamo tutti molto diversi: c’era chi faceva il musicista, chi sognava di lavorare negli eventi live o chi aveva già avuto qualche esperienza in teatro.
Perché, secondo te, vale la pena frequentare questo corso?
Il corso è pensato con un approccio prettamente pratico: un giorno viene spiegata la teoria e il giorno successivo viene messa subito in pratica. I docenti, inoltre, sono professionisti di alto livello, competenti e molto predisposti all’insegnamento.
Abbiamo avuto lezione, per esempio, con Giancarlo Pierozzi, fonico di moltissimi eventi live per Vasco Rossi, Laura Pausini, The Clash ed Elton John…potrete immagine l’emozione di un ragazzo, nato in un piccolo paesino vicino a Lecce, nell’incontrare e imparare da professionisti di questo livello!
Qual è stata la tua prima esperienza di esercitazione in esterna?
Appena tornati in aula, verso gennaio, siamo stati coinvolti in una serie di eventi live presso il Ridotto dei Palchi “Arturo Toscanini” del Teatro alla Scala, dove si sono esibiti musicisti e cantanti dell’Accademia. Era la prima volta in assoluto che mi cimentavo in una registrazione live e quel giorno capii che avevo fatto la scelta giusta, che quel mondo mi piaceva e che avevo trovato il lavoro che faceva per me.
Può sembrare banale forse, ma non è così immediato capire ciò che si vuole veramente dalla vita.
Divisi in piccoli gruppi da quattro, venivamo seguiti dal nostro docente Andrea Ferraio: decidemmo in primis come microfonare gli artisti in questione – ensemble d’archi e chitarra – e poi iniziammo con la registrazione delle prove. In contemporanea c’erano anche gli allievi del Corso di foto, video e new media dell’Accademia, impegnati nelle riprese dell’evento, ed è stato interessante doversi coordinare anche con loro.
A tuo avviso quali sono gli aspetti più difficili da controllare, nel mestiere del tecnico del suono?
È un lavoro che richiede moltissima precisione, a partire da come si posiziona un microfono, cosa che può sembrare estremamente semplice, ma che in realtà richiede estrema attenzione. Un giorno, per esempio, stavo seguendo le prove di un concerto; non mi piaceva molto il suono proveniente da un microfono che avevo collocato vicino al contrabbassista e decisi di spostarlo all’ultimo minuto, senza il tempo di avvertire il musicista. E questi, trovandosi l’asta del microfono troppo vicina, la prese e la spostò di mezzo metro… col risultato che io non riuscii più a registrare nulla! La fase fondamentale in questo lavoro è proprio la preparazione e lo studio pre-evento.
Come ti sei trovato a “partire da zero” in campo tecnologico?
Il corso ha richiesto molto impegno. È pensato per accompagnarti passo dopo passo alla scoperta di tutti gli strumenti utili per diventare un professionista e poter lavorare nel mondo della tecnologia audio. Parte del programma accademico è dedicato allo studio e all’utilizzo dei software per il controllo del suono, come Logic, Digital Performer, Pro Tools, Opha e altri ancora. Questi sono solo alcuni degli strumenti che abbiamo imparato a padroneggiare sia in fase di registrazione sia in fase di post-produzione. Abbiamo affrontato anche lo studio dei mixer. Ne esistono di vari tipi, a seconda dell’utilizzo finale, ad esempio il mixer da regia è diverso dal mixer per un dj.
Poi ci sono state lezioni di acustica, psicoacustica, di cablaggio e saldatura, elettronica e virtual soundcheck con protocollo DANTE, l’acronimo di Digital Audio Network Through Ethernet, un protocollo di rete creato dall’azienda australiana Audinate per la distribuzione digitale multicanale di segnali audio tramite rete Ethernet, senza la complessità e le limitazioni riscontrabili nelle altre consuete soluzioni di collegamento.
Una volta diplomato hai trovato lavoro? Di cosa ti stai occupando attualmente?
Il giorno stesso in cui mi sono diplomato sono anche stato chiamato dall’Accademia per lavorare a un suo progetto, realizzato con il sostegno di Fondazione Cariplo: Accademia20x20, un palinsesto di appuntamenti trasmessi in streaming per celebrare i 20 anni della scuola scaligera come Fondazione di diritto privato. È stata una grande opportunità per me, che continua ancor oggi e che mi sta permettendo di incontrare grandi artisti e registrare in svariate location, in primis al Teatro alla Scala.
Sono davvero appagato da quest’esperienza, che coinvolge un team di lavoro molto affiatato!