“Prima di arrivare in Accademia mi sono iscritta all’università e ho frequentato un anno alla Facoltà di architettura di Firenze. Ho vissuto il primo anno di università sostanzialmente in pieno lockdown e, mentre ero chiusa in casa, ho avuto modo di constatare che non riuscivo ad appassionarmi a quel mondo come gli altri miei compagni. Avevo sbagliato direzione”.
Inizia così la storia di Eugenia Cesari, una giovanissima ex allieva del Corso di foto, video e new media.
Nata a Firenze “quasi ventidue anni fa”, come precisa lei, Eugenia si è raccontata per voi.
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“Lo confesso: avevo deciso di frequentare l’università più che altro per dovere, senza avere un’idea precisa di quello che volessi fare. Qui a Firenze mi sembrava che non ci fosse nulla che mi desse quel qualcosa in più che potesse realizzare le mie aspirazioni. Ho tentato diversi test di ingresso e poi ho scelto quell’indirizzo che a naso mi sembrava più vicino al mondo della fotografia, che già esercitava su di me un’attrazione magnetica.
Sono stati i miei zii a trasmettermi l’amore per questa disciplina, erano dei veri appassionati. Loro, insieme a mia mamma, mi hanno regalato la mia prima macchina fotografica quando ero ancora piccola e perciò, anche se stiamo parlando di qualcosa di decisamente amatoriale, la fotografia ha sempre fatto parte della mia vita.
Casualmente un giorno, girovagando sui social network, ho trovato la pubblicità del workshop di fotografia e video di scena dell’Accademia.
Per me, che fin da piccolissima ho praticato danza, Teatro alla Scala era un nome molto familiare, che rappresentava un mondo pieno di fascino. Quella pubblicità fu quindi una folgorazione, per me, era la possibilità concreta di unire le mie passioni e trovare finalmente realizzazione.
Ho pensato subito che frequentare il workshop sarebbe stata una bella esperienza e mi sono iscritta, di getto.
Il programma prevede che chi supera il test finale con successo possa accedere al relativo Corso annuale saltandone le selezioni. Non avendo io conoscenze tecniche pregresse, immaginavo che per me sarebbe finito tutto con quella settimana d’estate, e invece – in settembre – ho ricevuto una email da parte del coordinatore, Filippo Toppi, con la quale mi comunicava che ero ammessa al corso, se avessi scelto di frequentarlo.
Non me lo sono fatto ripetere due volte, ovviamente, e mi sono iscritta, nonostante questa scelta comportasse certamente dei sacrifici economici e non solo.
Col senno di poi pensi che sia stata effettivamente utile, la frequenza del workshop?
Assolutamente sì, perché mi ha fornito quelle basi tecniche e storiche che non possedevo e che, con pochi risultati, avevo cercato di acquisire da autodidatta. Imparare direttamente dai grandi maestri, dalla loro esperienza, e provare direttamente con tutta l’attrezzatura più adatta è ineguagliabile. Mettevamo subito in pratica quanto spiegato, toccavamo le cose con mano.
Questa preponderanza per l’esercitazione pratica è stata decisiva per la scelta successiva di frequentare anche il corso.
Il corso ti ha donato quel quid in più che stavi cercando? Qual è la lezione che hai fatto più tua?
Grazie all’intero programma didattico e, soprattutto, alle esercitazioni in studio, ho notato che pian piano sono arrivata a progettare in anticipo la fotografia, a visualizzarla nella mente.
Il corso mi ha dato questo: la capacità di arrivare sul luogo dello scatto – che sia il teatro o un altro contesto – avendo già chiaro in mente il risultato finale che si desidera ottenere. Un’operazione mentale che aiuta molto nella pratica, sia in fase di scatto sia in fase di cernita e selezione. Sai così che non sprecherai tempo e materiale, avrai la certezza di portare a casa, nell’arco della sessione di lavoro, quanto effettivamente ti occorre per raggiungere l’obiettivo prefissato.
Il Corso di foto, video e new media, come da tradizione scaligera, destina molta parte del monte ore all’attività pratica. Quale esperienza è stata per te più significativa?
Sicuramente la prima volta in Scala è indimenticabile.
Ma direi anche la prima volta nei Laboratori Ansaldo, dove noi fotografi quasi “voliamo” sopra ai fondali e alle scenografie che lì vengono realizzati. Un ambiente da Alice nel paese delle meraviglie, dove ogni padiglione ha un suo fascino particolare e unico e la capacità di farti sentire fuori dal mondo.
Fin da piccola ho studiato pittura, seguendo il metodo francese Martenot – ho preso lezioni anche prima e dopo i confinamenti per il Covid – e quindi mi sono proprio innamorata di quello che si può vedere e vivere in Ansaldo e della tecnica tutta italiana di realizzazione delle scene dipinte. In effetti, se l’Accademia non proponesse il Corso di foto, video e new media mi sarei certamente iscritta a quello di scenografia!
Fotografia, danza, pittura… sei anche tu un’artista, quindi.
Un pochino è così. Ho praticato danza classica per tredici anni e per qualche tempo ho abbinato anche lo studio della danza contemporanea. La vita mi portato poi ad abbandonare le punte, ma ho ritrovato la danza come fotografa, studiando qui in Accademia.
E hai avuto occasione di seguire da vicino qualche spettacolo di balletto?
Proprio alla fine del corso siamo stati chiamati a lavorare per un Don Chisciotte agli Arcimboldi, con la coreografia di Nureyev. Purtroppo il periodo storico non ci ha aiutato, per via del Covid sono stati cancellati numerosi spettacoli, ma coronare il mio percorso formativo proprio con uno spettacolo di balletto ha assunto un importante valore simbolico, per me.
Finito il corso, che direzione hai dato alla tua vita?
Sono tornata a Firenze, anche perché nel frattempo mi sono iscritta all’Università, questa volta in maniera consapevole: ho scelto di laurearmi in storia dell’arte, per completare la formazione pratica con nozioni culturali solide e ampie, soprattutto nell’ambito dell’estetica dell’immagine.
Appena rientrata nella mia città, poi, ho iniziato a seguire Marco Borrelli, fotografo del Teatro Verdi e dell’Orchestra della Toscana. Lo conoscevo già prima del corso, e a dire il vero ha avuto una parte importante nella mia decisione di intraprendere questo tipo di percorso. Conosceva infatti la proposta formativa dell’Accademia e mi ha fortemente spinta a iscrivermi. È lui che mi ha introdotto alla fotografia di scena. Sto collaborando con lui sia per gli appuntamenti di musica sinfonica sia per la stagione lirica, qui al Verdi e per il Mascarade Opera Studio. Ultimamente ho partecipato anche a un evento di musica jazz, organizzato dal Conservatorio “Cherubini”. Per quanto riguarda il balletto, collaboro con Alberto Canestro, un coreografo fiorentino eclettico.
Che cosa ti piace maggiormente nel tuo lavoro?
Per me si tratta di un piacere quasi fisico. Nel momento in cui poso le mani sulla macchina fotografica, mi batte forte il cuore; lo strumento mi permette davvero di essere in palcoscenico con gli artisti, sotto i riflettori. È un’emozione indescrivibile. Quando finisce lo spettacolo, sento anche io le scariche di adrenalina. Mi sento viva.
Attraverso il mio lavoro cerco di far rivivere all’infinito questa magia, questo piccolo brivido. A me capita, riguardando gli scatti, di riprovare le stesse intense emozioni della serata e spero davvero di riuscire a trasmetterle anche agli altri.
Ci sono artisti, fotografi o canali particolari che ti ispirano?
Prima del corso conoscevo giusto quei due, tre nomi che tutti conoscono. Attraverso le lezioni di Laura Ferrari e di Roberto Mutti ho scoperto tutto il mondo dei fotografi della prima generazione e tutto quello che è legato al cinema, come la professione del direttore della fotografia, a cui mai avevo pensato prima. Ecco, traggo ispirazione da tutto quello che ruota attorno al settore cinematografico, in senso molto ampio.
Come promuovi il tuo lavoro, come guadagni il tuo pubblico?
Già durante il corso in Accademia ho aperto un profilo instagram da utilizzare sostanzialmente come portfolio personale online. Terminata l’Accademia, poi, ho aperto anche il mio sito. Grazie a questi canali ho potuto stringere diverse relazioni professionali, come quelle che vi raccontavo con Canestro e Borrelli. Mi hanno presa sotto la loro ala, se vogliamo dire, e ne sono scaturite collaborazioni interessanti. Utilizzo molto anche i social, comunque, perché sono quelli che mi permettono di presentare i miei lavori al mondo intero.
Sogni e progetti per il futuro?
Al momento sono in preda all’euforia, tutto mi entusiasma; sarà forse anche per la mia età, sono giovane e mi sembra che tutte le porte siano spalancate per me.
Mi piacerebbe portare a termine un progetto a cui sto lavorando per un concorso. Il tema è libero e io vorrei presentare qualcosa che unisca architettura, danza, fotografia – le mie passioni – e che rappresenti un po’ la metamorfosi della mia vita. Affronto questa sfida come momento di catarsi personale. La fotografia, in fondo, per me è terapeutica e mi piacerebbe restituirle un favore, per così dire. È quella cosa che mi fa volare con la fantasia, ma è anche quella che mi tiene ancorata a terra; guardando nell’obbiettivo riesco sia ad avere una visione dall’alto, distaccata e oggettiva di me stessa e delle cose, ma al contempo a guardarmi dentro. È davvero tutto, un elemento per me vitale e imprescindibile.