Cara Francesca, ovviamente non si può non iniziare dal principio. L’amore per la musica, per questo mestiere, per il canto quando è nata?
È nata quando ero piccola, mia madre aveva una musicassetta che conteneva il repertorio delle canzoni napoletane, e io non facevo altro che ascoltarla e soprattutto cantare a squarciagola. In particolare i miei “cavalli di battaglia” erano Io ti vurria vasà, O sole mio, Core ‘ngrato. Avevo solo 5 anni quando mi sono “esibita” per la prima volta nel mio paese: ho cantato “Luce” di Elisa! Il mio primo approccio è stato con la musica pop, che ho iniziato a studiare frequentando alcune Accademie, ubicate vicino al mio paese.
Un giorno, un’insegnante ha notato in me un’impostazione lirica che nessuno mai aveva segnalato prima e mi ha consigliato di avvicinarmi a tale genere.
Così sono entrata in Conservatorio. Avevo solo 13 anni, era troppo presto per il canto. Quindi ho iniziato studiando pianoforte. Ho avuto accesso alla classe di canto solo come auditrice. Devo dire che in Conservatorio la mia insegnante mi ha fatto scoprire un altro mondo, la musica lirica, soprattutto quell’artista straordinaria che è stata Maria Callas. Fino ad allora, com’è naturale, conoscevo altri generi musicali. In casa si parlava più che altro di Festival di Sanremo, XFactor, The Voice, non, per esempio, del Teatro San Carlo. Ad ogni modo, meglio tardi che mai!
Dopo il Conservatorio cosa è successo?
Maria Grazia Schiavo, con cui stavo preparando il diploma, mi consigliò di provare a frequentare un’accademia di perfezionamento, come l’Accademia scaligera. Una grande sfida, anche perché non ero mai salita su un vero palcoscenico, neppure durante gli studi in Conservatorio! Mi sono iscritta alle selezioni e ho superato le prime prove.
Cosa hai portato al concorso dell’Accademia?
La preparazione per l’audizione è stata molto lunga, ho fatto delle ricerche approfondite perché volevo portare qualcosa di nuovo, che colpisse la commissione.
Mi ero innamorata della romanza di Debussy La Romance d’Ariel. Portai anche Et incarnatus est di Mozart e feci un accurato lavoro di ricerca del suono con il pianista del Teatro San Carlo, Giacomo Serra. Ricordo ancora il piacere che provavo nel cantare Mozart, mi sembrava di essere quasi in estasi. Tuttavia non l’ho eseguita, perché non me l’hanno chiesta, mentre ho interpretato Debussy. Dopo l’audizione sono tornata a casa a Napoli, convinta che il mio percorso fosse finito lì.
E, invece, ricevo la fatidica telefonata: “la aspettiamo per la semifinale”.
Sono ripartita subito. Il giorno dopo, mi chiesero di eseguire Caro Nome e Debussy, è andata benissimo, riuscendo a passare in finale. Quando cantavo mi tremavano le ginocchia. Dissi chiaramente agli altri candidati che era la prima volta che mi esibivo su un vero palcoscenico, in teatro. Credo che mi abbiano preso per pazza, ma invece è andata benissimo.
Una volta che sei stata ammessa all’Accademia Teatro alla Scala, se non erro, la tua prima esperienza è stata per L’elisir d’amore per i bambini.
È vero. Subito buttata nell’arena! Ma devo dire che Grischa Asagaroff è stato fondamentale, mi ha aiutato molto; così come anche il contatto con gli altri allievi dell’Accademia è stato stupendo, non avevo mai trovato un ambiente così accogliente.
In questi anni hai studiato molto. Pensando a tutto il percorso compiuto, secondo te qual è stato l’insegnamento più importante che hai ricevuto?
L’insegnamento che più mi rimane nel cuore è sicuramente la disciplina. La signora D’Intino quando ho iniziato mi diceva che ero un po’ indisciplinata. Quindi ho fatto di tutto per migliorarmi, per trovare la giusta strada, anche mostrando chiaramente le mie difficoltà tecniche, mettendole a nudo. Solo così sono riuscita a superarle.
Nell’ambito dell’insegnamento, cosa ti aspettavi quando sei entrata? Qual è il tuo bilancio oggi fra quello che eri ieri e quello che sei oggi?
Nel 2018, quando sono entrata in Accademia, ero convinta di quello che facevo. Il fatto che le mie certezze siano state progressivamente smontate dalla signora D’Intino è stato per me fondamentale. Sapevo che quella era la via giusta, lei poteva aiutarmi a trovarla.
Forse oggi sono meno forte, meno spavalda, ma chissà, probabilmente si trattava solo di una maschera. Ora mi mostro per quello che sono veramente, anche con le mie fragilità. Credo di essere cresciuta, anche grazie alle molteplici esperienze vissute: i concerti, le opere, le lezioni con i più grandi artisti del panorama contemporaneo. Insomma, devo dire che la mia valigia è decisamente piena!
A proposito di esperienze, parlaci della prima produzione operistica a cui hai partecipato.
Un’esperienza veramente importante: il Progetto Accademia, il titolo inserito annualmente nella stagione del Teatro alla Scala. Nel 2019 si trattava del dittico Gianni Schicchi/Prima la musica poi le parole. Ero nel secondo cast della seconda opera, ma la direzione artistica ha voluto che passassi nel primo. Ho quindi preparato anche la parte di Nella. È stato emozionante provare il ruolo con l’assistente di Woody Allen, che firmava la regia di Gianni Schicchi.
Mi sono divertita molto. Quante risate. Del resto Gianni Schicchi consegna allo spettatore molti momenti faceti. Penso, per esempio, alla scena finale, in cui Gianni Schicchi riesce ad impadronirsi con l’inganno degli averi di Buoso Donati e i parenti del defunto tentano di portare via tutto ciò che possono. “Saccheggia! … Le pezze di tela”. Esilarante!
Quanto è importante la tecnica interpretativa oltre a quella vocale?
Credo che vadano di pari passo, come si studia lo spartito si studia il libretto, ma anche tutto ciò che ruota intorno all’opera. Penso, per esempio, al lavoro svolto per preparare Un ballo in maschera. In quel caso, un docente dell’Accademia, Andrea Massimo Grassi, mi ha aiutato molto, facendomi leggere le lettere che Verdi aveva scritto durante la composizione dell’opera.
Altre opere che ti sono rimaste nel cuore?
In assoluto l’Elisir d’amore. Il ruolo di Adina era interpretato da un’artista straordinaria come Rosa Feola, con cui ancora oggi sono in contatto. C’era un punto dell’opera (io facevo Giannetta) in cui rimanevo dietro le quinte a guardare lei e lei mi aspettava, c’è stata un’intesa incredibile. È stato bello vestire i panni di Giannetta sia per l’Elisir per gli “adulti” sia per i “bambini”. A settembre ho vissuto un momento magico: ero impegnata per tre produzioni, nell’Elisir per i bambini, nella Cenerentola per i bambini nel ruolo di Clorinda e in Rigoletto dove interpretavo il Paggio. Che emozione!
Tra l’altro, quando stavo preparando Elisir, a ridosso della prova generale, mi arriva una terribile faringite! Fortunatamente, sono stata sostituita solo per la generale. Ho potuto partecipare alla produzione, ma che paura! Una prova che mi ha temprato.
Raccontaci di quello che fai pochi minuti prima dello spettacolo, hai dei riti scaramantici? Che cosa provi prima di entrare in scena?
Non ho riti, al massimo mi faccio un segno della croce perché mi fa sentire concentrata. Più che altro, cerco di immedesimarmi il più possibile nel personaggio, lasciando Francesca nel camerino. Ed è qualcosa che sento profondamente. Devo riuscire a trasmettere al pubblico una storia, pertanto la parte interpretativa è fondamentale.
Come sono stati questi tre anni in Accademia?
Sono stati anni impegnativi e intensi. Il primo biennio mi ha permesso di conoscere dei compagni meravigliosi, con cui sono ancora in contatto. Penso, in particolare, a Valeria e Caterina che sono rimaste nel cuore. È anche grazie a loro se sono riuscita a superare le difficoltà che ho incontrato. Quando mi è stato proposto di rimanere per un terzo anno, ho riflettuto molto. Da un lato sembrava una decisione ardua, dall’altro, invece, molto semplice perché sentivo che avevo bisogno di più tempo per limare il mio talento. Restare nella casa dove sei stata bene è sempre un’esperienza sorprendente.
Il tuo futuro come lo vedi?
Ho vinto un concorso in Francia e farò una tournée in una produzione de La sonnambula, poi forse ci sarà il debutto di Amina in Brasile. Incrociamo le dita.
Già, cara Francesca: incrociamo le dita!
Foto: Annachiara Di Stefano