“Ho frequentato la Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala dal primo all’ottavo corso, per l’intero ciclo, diplomandomi nel 2004 sotto la direzione di Anna Maria Prina. Ho intrapreso quindi la carriera di ballerina professionista, che dopo l’Italia mi ha portato a Londra, in America e in Spagna.
Una volta chiusa la carriera, sono tornata fra i banchi di scuola, là dove tutto era iniziato, per il Corso per insegnanti di danza – il biennio prima e il terzo anno riservato agli ex allievi poi”.
Chi parla è Federica Bagnera, una “doppia” ex allieva che abbiamo incontrato per la Hall of Fame scaligera.
A lei abbiamo chiesto qualche riflessione sul Corso per insegnanti di danza, oggi Corso di diploma triennale universitario riconosciuto dal MIUR.
Ricordiamo che sono aperte le iscrizioni al 2022-23. Per tutti i dettagli, cliccate qui.
Federica, com’è stato tornare a Scuola, dopo qualche anno?
È stato esattamente come tornare a casa propria, dopo anni di lontananza. Tutt’ora mi sento a casa.
Insomma, io ho trascorso tutta la mia infanzia fra sala Cecchetti, mensa, spogliatoi. Sono i miei posti, le mie stanze. È stato bellissimo ritrovare i luoghi e ritrovare ovviamente le persone.
Non solo è stato bello, ma in qualche misura è stato anche giusto, l’unica soluzione possibile. Un destino a cui non potevo sottrarmi.
Una favola rosa?
Beh, c’era anche il rovescio della medaglia. Capire in senso profondo che non ero più una bambina, la ragazzina entrata lì a 11 anni. Dovevo necessariamente riscoprire la relazione con i docenti, in primis con la signora Colombini, docente principale dell’edizione del corso che ho seguito.
Quando hai realizzato di voler diventare insegnante?
È una scelta che affonda le radici nell’infanzia e nella mia natura…
Quando ero piccola, mentre tante fantasticavano di danzare su questo o quel palcoscenico, io amavo correggere le mie compagne. Mi piaceva spendere tempo per capire gli errori e come sistemarli e mi veniva naturale offrire il mio aiuto alle altre. Non vorrei sembrare immodesta, ma è come una vocazione.
In realtà ho diversi hobby e c’è stato un tempo in cui ho soppesato anche altre alternative; quando ho intrapreso questo percorso, ovviamente, ho avvertito la mancanza della sbarra, della routine di un ballerino e del mondo dorato dello spettacolo con il suo pubblico. Ma spesso mi tornava alla mente l’immagine di me bambina, così attenta alle correzioni. Ora come ora non vedo altro, nel mio futuro.
Oggi sei impegnata con due realtà molto differenti fra loro. Raccontaci…
La mattina insegno alla Nazionale di ginnastica ritmica; dalla fine del 2016, infatti, lavoro al Centro tecnico di Desio, con Emanuela Maccarani. Cinque anni fa cercavano un sostituto, dopo le Olimpiadi di Rio de Janeiro in cui l’Italia si è classificata al quarto posto per la ritmica, e io, forte del diploma da insegnante appena ottenuto, sono stata segnalata per il ruolo.
La classe è formata da un gruppo di atlete eterogeneo, in cui le più giovani hanno 16 anni e le due più grandi 25.
Al pomeriggio, invece, sono al Teatro Carcano, dove insegno ai ragazzi di 16-17 anni – il livello è quello dei corsi sesto e settimo.
Sul piano delle relazioni, il Carcano è un ambiente estremamente vicino alla Scuola dell’Accademia: gli allievi mi danno del lei, sono silenziosi, c’è un certo rigore. L’ambiente dello sport ha invece altre regole e una confidenzialità cui prima non ero abituata. Di conseguenza, cambia anche l’approccio dell’insegnante. Il lavoro, comunque, dipende molto da allievo ad allievo.
C’è qualcosa su cui hai completamente ribaltato la tua visione di ballerina, grazie al percorso didattico?
Tutto il corso è stato una scoperta, in continuazione. È sconvolgente, quasi, e totalizzante. È un corso molto impegnativo – mi ricordo che studiavo in continuazione – ma più studiavo più volevo sapere.
Non avrei mai immaginato, prima, che “essere un insegnante” avesse così tanti significati e fosse tutto quello che ho imparato.
Esattamente, quindi, chi è il bravo insegnante?
Devo per forza citare la signora Colombini… Lo faccio spesso, perché è una continua fonte di ispirazione; ogni sua parola ha forza e fa scaturire un percorso di conoscenza.
Ecco, il bravo insegnante deve avere una profonda conoscenza delle cose – l’oggetto dell’insegnamento – ma anche delle persone, deve essere un po’ psicologo. Il programma del Corso per insegnanti di danza, infatti, mescola sapientemente e in egual misura i due ambiti disciplinari.
E soprattutto, il bravo insegnante è quello che riesce a farti fare le cose.
Se non sai come portare gli allievi a mettere in pratica le conoscenze che elargisci, sei un didatta ma non un insegnante.
Saper insegnare è quasi un talento, oso dire, che si affina con l’esperienza pratica.
A chi consiglieresti, perciò, il Corso di diploma per insegnanti di danza?
Sono dell’idea che il corso sia straordinario: un programma davvero di qualità con professionisti d’eccellenza. E non solo i maestri di danza, ma anche tutti coloro che compongono il Corpo docente, come per esempio il dottor Omar De Bartolomeo, o il musicologo Fabio Sartorelli. Davvero un livello difficilmente uguagliabile!
Però, come dicevo prima, il corso deve essere seguito da chi ha avuto un certo trascorso. Aver avuto una carriera da ballerini professionisti è importante, altrimenti non si hanno tutti gli strumenti per capire l’allievo e per fornirgli gli strumenti – pratici e mentali – di cui ha bisogno.