Quando hai iniziato a studiare canto e com’è nato il tuo amore per la musica?
Sono sempre stato circondato dalla musica, a cui mi sono avvicinato sin da bambino, grazie a mia madre, cantante lirica per molti anni. All’età di 13 anni ho subito la muta della voce, e, sentendo il mio timbro, molti mi chiedevano come mai non mi decidessi a studiare canto. Del resto, ero abituato a frequentare teatri, e prendevo lezioni di solfeggio e di pianoforte.
Così un giorno, intorno ai 14-15 anni ho deciso di studiare canto seriamente e mi sono iscritto al Conservatorio di Sofia. Quindi, ancora una volta grazie a mia madre, il primo concorso, il Concorso internazionale di canto “Maria Caniglia” a Sulmona.
In Italia, dunque. E com’è andata?
Molto bene. Avevo promesso a me stesso che se non avessi superato la prima fase del concorso avrei dovuto abbandonare lo studio del canto; nel caso fossi arrivato in semifinale avrei potuto riflettere se continuare o meno, ma se fossi arrivato in finale, allora avrei proprio dovuto continuare. E così è stato. Ho ricevuto diversi premi e per me quello ha segnato l’inizio del mio percorso. Ho continuato a partecipare a diversi concorsi perché ho sempre ritenuto importante mettermi costantemente alla prova e sono arrivati anche i primi ruoli.
Ricordo nel 2013 il debutto nel ruolo di Don Basilio e in quello del Notaio nel Barbiere di Siviglia di Paisiello nei teatri de L’Aquila e di Sulmona, con l’Orchestra Sinfonica d’Abruzzo. Veramente un bell’inizio.
E come sei arrivato all’Accademia della Scala? La conoscevi?
Conoscevo già l’Accademia grazie a due cari amici che, seppur in tempi diversi, l’avevano frequentata: Valeri Turmanov e Deyan Vatchkov. Devo dire la verità, ero titubante, perché avevo ricevuto dal Teatro Mariinskij di San Pietroburgo l’invito a frequentare la loro Accademia di canto. Avevo dei dubbi sulla possibilità di essere ammesso all’Accademia della Scala. Mi sembrava un sogno irraggiungibile. Ma poi la mia fidanzata, che si era trasferita da poco a Milano per studiare moda, mi ha convinto a iscrivermi al concorso di ammissione. Riuscire ad arrivare in finale è stata un’emozione grandissima, soprattutto poter cantare sul palcoscenico della Scala.
Racconta.
Devo dire che tremavo all’idea di esibirmi davanti alla commissione su quel palcoscenico. Era la prima volta che entravo alla Scala! Ricordo ancora il mio stupore nel vedere la sala dal palco. Mi sembrava enorme. E mi chiesi come avrei potuto far arrivare la mia voce in uno spazio come quello. Cantai Come dal ciel precipita, l’aria di Banco dal Macbeth. E fra me e me pensavo: se riesco ad eseguire bene il Mi, forse riesco a superare questa prova. Se non lo eseguo correttamente, almeno avrò avuto la soddisfazione di cantare in questa sala. E invece, è andata bene e sono stato ammesso. Che emozione!
Qual è l’insegnamento più bello che hai ricevuto?
La signora D’Intino e i maestri collaboratori mi hanno insegnato soprattutto dei principi. Non si sono mai limitati a dare un giudizio superficiale, ma hanno sempre cercato di andare a fondo delle cose per farmi comprendere come correggere i miei errori. La signora D’Intino è sempre stata severa, ma nel modo in cui lo deve essere un bravo insegnante: per spronarti a dare sempre il meglio. Qualche anno fa ho perso il mio caro Maestro di canto, un grande dolore per me, ma devo dire che ritrovo tanto del suo metodo d’insegnamento in quello della signora D’Intino.
Nella lezione con Luciana D’Intino ti abbiamo sentito interpretare la stessa aria con cui ti sei presentato all’audizione per l’Accademia. Che differenze noti da allora?
Premetto che durante la lezione non stavo benissimo … la voce per un cantante non è come un qualsiasi altro strumento musicale, che, essendo un oggetto, si può toccare, ma è qualcosa che vibra dentro di sé, e, a volte, è come un cavallo pazzo che deve essere domato. Detto questo, credo proprio che la mia interpretazione di quell’aria abbia avuto un’evoluzione. Credo di essere cresciuto sia dal punto di vista tecnico sia dal punto di vista interpretativo. Penso di avere affinato l’emissione delle vocali, un tempo troppo aperte; sento di essere migliorato nella restituzione di un suono più rotondo, come deve essere quello di un cantante con il mio registro vocale.
Hai un artista di riferimento a cui ti ispiri?
All’inizio ascoltavo solo Nicolai Ghiaurov, forse la voce di basso più bella e potente di sempre. Poi ho scoperto anche la voce di Boris Christoff, altro grande interprete bulgaro. Ho vissuto, fra l’altro, nella sua casa di Roma, quella che lui aveva donato all’Istituto Bulgaro di Cultura come residenza per giovani artisti del mio paese. Ho apprezzato tutti i ruoli interpretati da Christoff. Penso soprattutto al suo Filippo II. Stupendo.
Quale ruolo ami di più e quale vorresti interpretare?
Non vorrei ripetermi, ma direi proprio Filippo II del Don Carlo. Un giorno anche Boris Godunov e poi Attila.
Quali altri palcoscenici ti attirano oltre a quello del Teatro alla Scala?
Mi piacerebbe tanto poter tornare a cantare a Sofia, nel mio paese, davanti al mio popolo. E poi, certamente, Metropolitan, Covent Garden, ma anche Mariinsky, Bolshoi, Zurigo. Devo dire, comunque, che al di là della grandezza e dell’importanza del teatro, quello che conta veramente è come ti presenti al pubblico, la tua interpretazione, che deve sempre tendere alla perfezione. A prescindere dal luogo in cui ti trovi. Devi sempre dare il meglio di te.
Quanto è importante il pubblico per te? Che cosa rappresenta?
Qualsiasi cantante canta per avere il riscontro del pubblico a cui desidera trasmettere delle emozioni. In fondo, l’opera lirica esprime da sempre le vicende umane: la gioia, il dolore, l’amore, il tradimento. Ed è bello poter condividere tutto questo con il pubblico. Durante la pandemia, davvero una brutta battuta d’arresto, ho sofferto molto la mancanza di confronto con gli spettatori e la magia delle scene. Siamo in realtà stati molto fortunati, l’Accademia ha organizzato per noi le lezioni a distanza, online; ma che volete, non potranno mai sostituire l’esperienza dal vivo.
Fai dei gesti scaramantici prima di andare in scena?
A dire il vero, no, anche se quando sono molto agitato e il cuore batte all’impazzata ho un solo modo per calmarmi: intono a bassissima voce l’inno nazionale bulgaro. Perché fra i pochi al mondo composto in minore. Mi aiuta tantissimo.
Che cos’è per te la musica, il canto?
Per me è la lingua dell’anima. Senti le vibrazioni nel tuo corpo ed è bellissimo. Grazie alla musica posso esprimere tanti sentimenti.
L’opera lirica per te che cosa rappresenta?
Per me l’opera lirica è la “super arte”, la forma artistica più completa perché assomma musica, canto, pittura e scultura, trucco, costume, danza. Uno spettacolo d’opera include tante, diverse arti. E poi credo che il canto lirico sia il genere più raffinato e compiuto. Il cantante lirico canta ovviamente senza microfono e quindi se si commettono degli errori, si avvertono subito.
Se avessi un figlio che volesse fare questa carriera che cosa consiglieresti?
Aiuto… un figlio …. troppo presto … tuttavia, se mai un giorno dovessi fare l’insegnante di canto, la prima cosa che direi ai miei allievi è: ma sei proprio sicuro di voler intraprendere questa carriera? Perché è un percorso difficile… e l’anima di un vero artista è fragile. Questo mestiere deve essere fatto con il cuore, ma oggi più che mai non è una cosa semplice.
Che cosa vuoi dire ai nuovi allievi dell’Accademia di canto che stanno per iniziare il biennio?
Innanzitutto ricorderei loro l’importanza di continuare a studiare, e poi di credere fortemente in se stessi e in questa bellissima arte.
Quanto sono stati importanti per te gli incontri?
Ho avuto la fortuna di incontrare il sostegno, il rispetto di alcuni grandi artisti. Anni fa avevo seguito una masterclass a Saragoza di Montserrat Caballè. Fu molto generosa con me. Mi aveva selezionato per il concerto finale (non tutti vi partecipavano) e quella fu per me una grande soddisfazione. Tra l’altro, il mio compleanno cadeva in quei giorni e lei mi fece gli auguri intonando “buon compleanno”. Incredibile. Dopo la masterclass, andai a trovarla nella sua casa a Barcellona, dove mi chiese se volessi studiare con lei. E come potevo permettermelo? Lei mi disse che non avrei dovuto preoccuparmi di questi aspetti. Purtroppo poi il sogno non si concretizzò, ma non potrò mai dimenticare quello che era accaduto.
Un altro incontro importante è stato con il basso italiano Bonaldo Giaiotti. Quando andai da lui mi chiese se avessi una borsa di studio e gli risposi che avevo la fortuna di avere il sostegno e l’aiuto di mia madre. Per chi è all’inizio della carriera, purtroppo non è facile. Bisogna investire molto sul proprio futuro.
Quanto è stata importante per te la tua famiglia?
Fondamentale. Mia madre, in particolare, una donna straordinaria. Mio padre è mancato molti anni fa, nel 1999. E ho un fratello affetto da una grave disabilità. Mia madre si è occupata di noi con dedizione totale. Da tempo ha lasciato il canto e oggi è un magistrato (anch’io, tra l’altro, sono laureato in Giurisprudenza). Nel 2008 aveva vinto un premio per il suo lavoro, un notevole successo, ma nello stesso giorno in cui avrebbe dovuto ritirare tale riconoscimento, si teneva il mio primo concerto. Lei non ci pensò neanche una volta. Volle essere presente.
Allora la vogliamo proprio vedere fra il pubblico l’8 novembre. E in bocca al lupo, Bozhidar!